La globalizzazione, in progressivo e costante aumento, induce ad una diffusione di persone, conoscenze, prodotti, alimenti e risorse che tendono a superare i confini di tutto il pianeta. Una delle conseguenze di questo forte, quanto inevitabile, fenomeno è quella d’aver determinato, tra i vari paesi, la diffusione delle diverse abitudini alimentari. Osserviamo, infatti, che fino […]
La globalizzazione, in progressivo e costante aumento, induce ad una diffusione di persone, conoscenze, prodotti, alimenti e risorse che tendono a superare i confini di tutto il pianeta. Una delle conseguenze di questo forte, quanto inevitabile, fenomeno è quella d’aver determinato, tra i vari paesi, la diffusione delle diverse abitudini alimentari.
Osserviamo, infatti, che fino a pochi decenni orsono, in Italia con il temine “pesce crudo” si individuavano soprattutto le ricette a base di prodotti marinati quali acciughe, ostriche, cozze ed uova di riccio di mare, negli ultimi anni, complice l’espansione dei mercati e degli scambi culturali, nonché la moda alimentare e le sue proprietà dietetiche, il consumo di pesce crudo è in deciso aumento. Inizialmente la novità più esotica sulle nostre tavole era rappresentato, da pesci affumicati, dal sushi e dal sashimi, specialità gastronomiche di origine giapponese, da tartare e dal gravlax proveniente dai paesi nordici. E’ poi arrivato dal Perù il ceviche, un piatto a base di pesce marinato con limone e peperoncino. L’ultima tendenza, di provenienza hawaiana, si chiama poké, pesce crudo senza lische, tagliato a cubetti e servito insieme ad alghe, riso o uova di pesce.
Sushi e sashimi sono divenuti cibi cult, graditissimi e ricercati, da consumare nei ristoranti specializzati in cucina orientale, ma anche reperibili nei banchi di mercati e supermercati.
Da qualche tempo le classiche e tradizionali torte dei nostri compleanni sono state sostituite da torte di sushi
Mangiare pesce crudo significa mangiare bene e senza appesantire il proprio organismo. Il pesce crudo, infatti, mantiene inalterato tutto il suo prezioso contenuto di acidi grassi, gli Omega-3, estremamente termolabili, eliminare, quindi, il trattamento termico consente al nostro organismo di assorbire una quantità maggiore di acidi grassi essenziali, così facendo proteggiamo il nostro cuore ed il nostro sistema nervoso, riducendo il rischio di infarti e di ictus. Il pesce crudo rappresenta una fonte di proteine e vitamine, quali la tiamina (vitamina B1), la riboflavina (vitamina B2), l’acido pantotenico (vitamina B5) ed il tocoferolo (vitamina E), oltre che di calcio, ferro, fosforo, iodio, sodio e fluoro. Stiamo, però parlando di un alimento da consumare crudo, ricordiamo che la cottura mette il nostro organismo al riparo da eventuali rischi. L’alimentazione con pesce crudo o poco cotto, aumenta i rischi associati alla presenza del parassita Anisakis, una parassitosi una volta diffusa soprattutto nel sud-est asiatico, oggi problema globale.
La prima segnalazione dell’infestazione di Anisakis nell’uomo risale al 1876, in Groenlandia, ad opera di Rudolf Leuckart uno zoologo tedesco. Nel 1958 Ishikura e Asanuma in Giappone descrissero il primo caso di localizzazione intestinale dovuta all’assunzione di pesce crudo. In Italia il primo caso è stato riportato a Bari nel 1996.
Non tutti i nematodi appartenenti alla Famiglia Anisakidae sono di interesse per la salute umana. I principali responsabili dell’Anisakiasi sono i parassiti appartenenti al genere Anisakis, anche se un ruolo simile è attribuito al genere Pseudoterranova. Nono stati segnalati casi associati ai generi Contracoecum ed Hysterothylacium.
Le forme larvali dei nematodi appartenenti al genere Anisakis nei prodotti ittici sono visibili ad occhio nudo ed hanno una lunghezza che può variare da 1 a 4 cm. La loro colorazione può variare dal bianco al giallastro, sono sottili e tendono a presentarsi arrotolati su se stessi.
Il ciclo biologico dei parassiti appartenenti alla famiglia Anisakidae si svolge in ambiente marino attraverso il susseguirsi di quattro fasi o stadi larvali (da L1–a L4).
Le uova prodotte dai parassiti adulti vengono rilasciate nell’acqua attraverso le feci dei mammiferi marini infestati, qui avviene lo sviluppo in larve L1. Una volta libere in acqua, le larve maturano nel secondo stadio (L2).
Le larve del genere Anisakidae per sopravvivere devono continuare il ciclo all’interno di ospiti intermedi, prima di raggiungere l’ospite definitivo. I primi ospiti intermedi sono piccoli crostacei che a loro volta vengono ingeriti da pesci e cefalopodi, secondi ospiti intermedi. In questi ultimi, le larve allo stadio L2 maturano nel successivo stadio L3, penetrando l’intestino dei pesci nella cavità peritoneale, dove possono raggiungere la lunghezza di 1-4 cm e talvolta coinvolgere gli organi interni ed il muscolo. Si arriva infine ai mammiferi marini o agli uccelli marini, che ingerendo i pesci, consentono il completamento del ciclo biologico del parassita. In questi animali, che rappresentano gli ospiti definitivi, le larve maturano sino al quarto stadio larvale o preadulto (L4) per poi passare alla forma adulta.
Le abitudini comportamentali dei mammiferi e degli uccelli marini (principali vettori) di effettuare spostamenti lungo ecosistemi acquatici anche molto distanti, sono alla base della diffusione dei parassiti appartenenti alla famiglia Anisakidae.
SPECIE ITTICHE MAGGIORMENTE COINVOLTE
Le specie ittiche ed i cefalopodi, costituenti la fauna ittica del Mediterraneo, maggiormente parassitati dalle larve del genere Anisakis, sono qui elencati in ordine di prevalenza di infestazione (calcolata in percentuale):
Lepidopus caudatus (Pesce sciabola) PREV.100%;
Trachurus trachurus (Suro)PREV.95%;
Scomber japonicus (Lanzardo)PREV.75%;
Scomber scombrus (Sgombro) PREV.71%;
Merluccius merluccius (Merluzzo) PREV. 40%;
Todarodes sagittatus (Totano) PREV. 22%;
Engraulis encrasicolus (Alice) PREV. 17%;
Mullus barbatus (Triglia) PREV. 10%;
Mugil cephalus (Cefalo PREV. 9%;
Sardina pilchardus (Sardina) PREV. 1%.
ANISAKIASI – La Malattia nell’Uomo
La prima segnalazione di infestazione di anisakiasi umana risale al 1867, in Groenlandia, ad opera di Leuckart. la malattia è stata in seguito largamente studiata negli anni 1950 e 1960 in Olanda, ove a seguito dell’ingestione di aringhe marinate, si verificarono un gran numero di casi di patologia nell’uomo.
Nell’ultimo trentennio si è osservato un considerevole aumento dei casi di anisakiasi in tutto il mondo, ciò può essere dovuto a:
Le larve dell’Anisakis resistenti all’azione dei processi digestivi dell’uomo, penetrano la mucosa gastrica sia attraverso un’azione meccanica, esercitata dalla presenza del dente terebrante, che mediante il rilascio di enzimi litici (proteasi). Una volta penetrate nella parete gastrica o intestinale le larve inducono fenomeni infiammatori e possiamo osservare:
Possono essere presenti anche forme paucisintomatiche, cioè evolvono in assenza di sintomi di rilievo, al punto da passare del tutto inosservate o da essere tutt’al più attribuite ad un lieve malessere passeggero.
Il parassita penetrato nella parete gastrica o intestinale è osservabile per circa 4-5 settimane, dopo le quali inizia la degenerazione mediante la calcificazione dello stesso.
Le forme extra-gastrointestinali si riscontrano quando il parassita riesce a perforare la parete gastrointestinale per migrare negli organi limitrofi. Ilparassita, essendo in grado di sopravvivere fino a due mesi, può causare sintomi aspecifici. Nei casi di localizzazione a livello peritoneale, è possibile riscontrare larve vive che danno origine a dolori addominali diffusi.
Le forme allergiche si manifestano quando il soggetto interessato ha già avuto un contatto con il parassita. Un secondo evento di esposizione è in grado di indurre manifestazioni di tipo allergico che possono essere caratterizzate da:
PREVENZIONE
La prevenzione è sicuramente lo strumento più efficace per evitare l’anisakiasi. È basilare, quindi, procedere sempre con la sensibilizzazione del consumatore e degli operatori di settore attraverso l’educazione sanitaria, l’eviscerazione dopo la pesca al fine di evitare la migrazione delle larve nel muscolo, il controllo visivo ed i trattamenti del prodotto ittico idonei a devitalizzare le larve quali:
Le larve di anisakidi sono sensibili a questa tipologia di trattamento solo se effettuato rispettando determinati parametri. È stato dimostrato che il tempo massimo di sopravvivenza delle larve presenti in filetti di alici posti in salagione (concentrazioni di 8-9% di sale), è di 6 settimane.
Tecnica basata sull’utilizzo di soluzioni contenenti acqua, sale ed acidi organici quali aceto, vino e succo di limone. La marinatura, oltre ad avere un azione antibatterica, modifica l’aspetto e la consistenza dei prodotti ittici, conferendogli proprietà organolettiche caratteristiche. Le larve di Anisakis spp. sono molto resistenti ai tradizionali metodi di marinatura, che rappresentano in Italia ed in Spagna gli alimenti maggiormente implicati nei casi di Anisakidosi. Per cui si ritiene opportuno, al fine di abbattere il pericolo di Anisakiasi, affiancare le comuni tecniche di marinatura ad adeguate procedure di congelamento (-15 °C per 96h; -20 °C per 24h;-35 °C per 15h al cuore del prodotto), ritenute le tecnologie in grado di devitalizzare con certezza il parassita.
La sopravvivenza delle larve appartenenti alla famiglia Anisakidae dipende dalla combinazione di tre parametri quali:
Il congelamento previsto dal Regolamento (CE) N. 853/2004 prevede il trattamento dei prodotti ittici ad una temperatura di -20 °C per 24 ore al cuore del prodotto; trattamenti analoghi, ma con rapporti tempo/temperatura differenti sono quelli a -15 °C per 96 ore e a -35 °C per 15 ore.
Incaso di congelamento effettuato a temperature e tempi anche solo lievemente differenti da quelli indicati, si rischia di non devitalizzare tutte le larve presenti.
Numerosi lavori hanno dimostrato che, sottoponendo il prodotto ittico a temperature superiori a 60 °C per almeno 1 minuto, viene garantita la devitalizzazione delle larve.
Anche per la cottura bisogna prendere in considerazione il rapporto tempo/temperatura al cuore del prodotto; un trancio di pesce di 3 cm di spessore, per esempio, deve essere cotto a 60 °C per 10 minuti al fine di assicurare la morte di tutte le larve.
Il trattamento di affumicatura, consiste all’esposizione dell’alimento al fumo prodotto dalla combustione di differenti tipi di legname in assenza di fiamma ed in atmosfera povera di ossigeno, può essere effettuato a caldo oppure a freddo. Il trattamento a caldo con temperature di circa 70/80 °C per 3/8 ore, è in grado di assicurare la devitalizzazione delle larve di Anisakis spp. l’affumicatura a freddo, invece, con temperature di circa 20/25 °C per tempi che vanno da molte ore ad alcuni giorni, risulta insufficiente a devitalizzare le larve. Pertanto come per la procedura di marinatura è consigliabile, nei casi di affumicatura a freddo, un preventivo trattamento di congelamento al fine di ottenere un prodotto sicuro per la salute umana.
Nelle nostre cucine domestiche per poter consumare con tranquillità del pesce possiamo ricorrere a due soluzioni alternative: