Riforma costituzionale: il 4 dicembre italiani chiamati alle urne per confermare o annullare il testo che supera di fatto il bicameralismo. L’eventuale modifica del titolo V e dell’articolo 117 andranno a cambiare radicalmente il sistema della sanità pubblica trasformando l’equilibrio e le competenze tra Stato e Regioni. Ecco cosa potrebbe cambiare…
Un testa a testa tra il potere centrale e il potere locale sulla sanità. È questo uno dei tanti nodi che il 4 dicembre sarà sciolto votando per il referendum costituzionale. La riforma, nata con un disegno di legge presentato dal Governo Renzi nell’aprile del 2014, propone, tra le altre cose, una radicale riforma del Senato della Repubblica la cui principale funzione diventerebbe quella di rappresentanza delle istituzioni territoriali. A questo, però, si affianca la sostanziale modifica del Titolo V della Costituzione che riguarda la ripartizione del potere e delle competenze tra Stato e Regioni. Tra queste, di primaria importanza, è la competenza sulla sanità.
La croce sul Sì o sul No cambierà in maniera sostanziale l’apparato della sanità pubblica. L’approvazione della riforma infatti andrebbe a modificare l’articolo 117 che dispone la suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni. Se approvato, il provvedimento affiderebbe alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare. Mentre alle Regioni spetterebbe la potestà legislativa in materia di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali.
Attualmente, in osservanza alla riforma del Titolo V varata nel 2001 con l’obiettivo di avvicinare i servizi ai cittadini lasciandosi alle spalle una complicata e, talvolta, farraginosa gestione centrale di tutta la sanità, si sono delineati ben 21 sistemi sanitari diversi in Italia sviluppati in questi anni di federalismo sanitario. In questi anni, però, abbiamo visto crearsi nette differenze tra regione e regione, nei costi (celeberrimo il caso della siringa acquistata a prezzi radicalmente diversi in regioni diverse), nell’applicazione delle direttive sanitarie e una erogazione dei servizi non uguale per tutti. Obiettivo di questa riforma è centralizzare il sistema per appianare le differenze fra territori.
Ma, nel dettaglio, come siamo arrivati a questa eterogeneità? Occorre fare una piccola analisi in cui essenziali sono due elementi:
Lea. Attualmente esistono i Livelli essenziali di assistenza (Lea), prestazioni minime garantite dallo Stato e che sono uguali per tutta Italia. I Lea sono decretati dal governo centrale, ma sono le Regioni ad applicarli. Per questo si parla di 21 sistemi sanitari diversi, ogni Regione ha un proprio criterio di applicazione del diritto alla salute.
Gsa. Le concessioni stabilite dallo Stato per garantire i Lea sono state spesso gestite dalle Regioni generando in diversi casi scandali e fenomeni di clientelismo. Dunque dal 2012 con la Gestione sanitaria accentrata (Gsa), un centro di responsabilità regionale finalizzato al controllo dei conti, si è tentato di stabilire ordine ma il tentativo non ha portato a grandi risultati. La riforma Renzi-Boschi mira a risolvere questo caos accentrando le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute nelle mani dello Stato, mentre alle Regioni rimarrebbe la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali.
Sul fronte del Sì, schierati a fianco del premier Renzi, la maggioranza del governo fra cui in prima linea il ministro della Salute Beatrice Lorenzin: «Questa Costituzione incide sulla vita di tutti – dichiara il ministro intervistato in esclusiva da Sanità Informazione -. Con la riforma del Titolo V, a cui si imputa da sempre la responsabilità delle problematiche in materia sanità, qualcosa finalmente cambierà. Il voto è per il nostro futuro: la scelta per un cambiamento. Sappiate bene cosa votate, – conclude la Lorenzin – leggete la riforma costituzionale e prendete una scelta libera ma cosciente».
A dire No una minoranza del Pd, Silvio Berlusconi con FI, M5S e Lega. A rivestire il ruolo di vero e proprio leader per il No, Massimo D’Alema che in questi giorni ha dichiarato che, a prescindere dall’esito del referendum, in ogni caso ben presto si ritirerà dallo scenario politico. «Una riforma confusa e profondamente sbagliata – spiega l’ex presidente del Consiglio – la cosa che considero preoccupante è che questa riforma espropria completamente le Regioni dei loro poteri. Noi sappiamo quanto la sanità in Italia dipenda dalla forza delle Regioni e se queste non avranno la forza di difendere il fondo sanitario, questo si risolverà in un danno grave per i cittadini, per la medicina e per i medici».
Ecco di seguito com’è il testo attuale dell’Articolo 117 e come potrebbe cambiare in seguito all’eventuale vittoria del Sì
IL TESTO ATTUALE: «Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. […] Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato».
COME POTREBBE CAMBIARE: «Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare. […] Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia […] di dotazione infrastrutturale, di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali».