Salute 31 Marzo 2021 13:09

Defibrillatori, il caso della legge ‘salvavita’ bloccata da MEF e Ministero della Salute. Le associazioni: «Fate presto»

Un Ddl approvato alla Camera all’unanimità giace da un anno e mezzo al Senato ostaggio di pareri che non arrivano. Ogni anno 60mila vittime per arresto cardiaco: con un intervento tempestivo si potrebbero ridurre del 40%. Gli esempi virtuosi del Progetto Vita a Piacenza e dell’associazione “Lorenzo Greco onlus” di Torino

Defibrillatori, il caso della legge ‘salvavita’ bloccata da MEF e Ministero della Salute. Le associazioni: «Fate presto»

La legge sull’uso e la diffusione dei defibrillatori sembrava cosa fatta. Approvata nel luglio 2019 alla Camera all’unanimità, era poi arrivata in Commissione Igiene e Sanità al Senato in sede deliberante: non ci sarebbe stato bisogno nemmeno del passaggio in Aula per l’approvazione definitiva. Ma, come avrebbe detto Trapattoni, non dire gatto se non ce l’hai nel sacco. Oggi, a quasi due anni dal primo via libera, della legge si sono perse le tracce: non però a causa degli ignari senatori, ma prigioniera del MEF e del Ministero della Salute da cui dovrebbero arrivare fondamentali pareri necessari a sbloccare l’impasse.

Intanto, però, i ritardi della politica rischiano di costare vite umane che altrimenti si potrebbero salvare: il Ddl 1441 denominato “Disposizioni in materia di utilizzo dei defibrillatori semiautomatici e automatici in ambiente extraospedaliero” definisce il programma pluriennale per favorire la progressiva diffusione e l’utilizzazione dei DAE nei luoghi e sui mezzi di trasporto, con priorità per le scuole di ogni ordine e grado e per le università. Inoltre, sancisce la non punibilità per chi usa il defibrillatore senza essere specificamente formato in base all’articolo 54 del Codice Penale. Inoltre, prevede che le centrali operative territorialmente competenti del 118 siano a conoscenza del posizionamento dei DAE sul territorio per aiutare il primo soccorso.

«Il parere del MEF c’era già stato nel corso dell’esame alla Camera. L’iter sembrava destinato ad essere spedito, invece la situazione si è arenata. In base alle informazioni raccolte, il MEF avrebbe inviato una richiesta di precisazioni tecniche al ministero della Salute che, nonostante i solleciti, non avrebbe mai fornito. Mi sembra vergognoso, è una legge che gli addetti ai lavori e chi si occupa di primo soccorso aspettano da anni», spiega a Sanità Informazione Leda Volpi, medico e deputata ex M5S ora al Gruppo Misto.

Un ritardo che non è spiegabile nemmeno ipotizzando il problema dei costi economici, dato che la legge non obbliga ma ‘favorisce’ la diffusione dei defibrillatori della PA aperte al pubblico con più di 15 dipendenti.

«Ogni anno in Italia muoiono 60mila persone per arresto cardiaco di tutte le età e nel 2020 questi decessi sono più che raddoppiati – continua Volpi -. Noi per i 90-100mila morti all’anno di Covid abbiamo giustamente stanziato tantissime risorse. Rendiamoci conto, però, che qui si parla di 60mila morti ogni anno e gli esperti dicono che il 40% delle vittime si potrebbero salvare con dei defibrillatori a portata di mano».

Intanto qualcosa si muove: il Ministero dell’Istruzione, con la nota n.7144 del 25 marzo, dà il via libera all’assegnazione ed erogazione delle risorse finanziarie per l’acquisito di defibrillatori nelle scuole. E nel caso in cui la scuola sia già dotata di defibrillatori, i soldi potranno essere investiti in formazione specifica per il loro utilizzo.

Il Progetto Vita a cui si ispira la legge

Ogni giorno di ritardo nell’approvazione di questa legge rischia di costare vite umane. Lo sanno bene i professionisti e le associazioni che sui territori da anni lavorano per favorire la cultura del defibrillatore e del primo soccorso in caso di infarto. Una di queste è Daniela Aschieri, Direttore di Cardiologia e riabilitazione cardiologica dell’ospedale di Castel San Giovanni alle porte di Piacenza e animatrice del Progetto Vita, che da oltre 20 anni lavora in attività di sensibilizzazione sul tema e per l’installazione di defibrillatori nel piacentino. Sul sito dell’associazione campeggia un banner con i numeri: 1068 defibrillatori installati, 57mila volontari addestrati, 128 persone soccorse grazie al progetto.

«Agire tempestivamente aiuta a salvare molte vite: quando interviene personale non sanitario con un defibrillatore si salva il 50% dei casi di arresto cardiaco. Data la lentezza del sistema di soccorso dovuta ai fisiologici tempi di arrivo delle ambulanze, avere un defibrillatore nelle vicinanze garantisce una maggior percentuale di sopravvivenza. Negli impianti sportivi dove i defibrillatori erano presenti, a Piacenza abbiamo dimostrato che si salva il 93% degli sportivi in arresto cardiaco. Dovrebbero essere presenti con la stessa capillarità degli estintori», spiega Aschieri a Sanità Informazione.

È la stessa Aschieri a illustrare come funziona un defibrillatore: «È uno strumento che ha la capacità di riconoscere, attraverso i due elettrodi che vengono posizionati sul torace, la presenza o meno di una aritmia che si chiama fibrillazione ventricolare e che è la causa del 70-80% dei casi di arresto cardiaco. Una volta riconosciuta questa aritmia, il defibrillatore si predispone solo in quel momento ad erogare uno shock elettrico che permette di interrompere questa aritmia. È in pratica la tecnologia dei defibrillatori impiantati che mettiamo sotto cute ai pazienti che hanno già avuto o che sono a rischio di arresto cardiaco. Quella tecnologia che fa funzionare in automatico il defibrillatore interno è stata esportata in questi strumenti che sono i defibrillatori semiautomatici o automatici esterni».

Un fatto, questo, che risolve anche il problema della responsabilità in caso di uso improprio: «La cosa di cui si parla poco è che il defibrillatore non può fare danno perché eroga lo shock elettrico esclusivamente se riconosce la fibrillazione ventricolare – continua Aschieri -. Il margine di errore è praticamente zero. La legge del 2001 che obbliga ad aver fatto un corso per poterlo usare è in realtà una legge obsoleta, per questo auspichiamo che il Ddl all’esame del Senato venga presto approvato».

A Piacenza i dati sono tutti dalla parte di questa sperimentazione: c’è un defibrillatore ogni 300 abitanti, in dotazione presso piazze, impianti sportivi e anche sulle pattuglie delle forze dell’ordine. Il rapporto costo-benefici, realizzato da Progetto Vita, è di 8 defibrillatori per salvare una vita, quindi 8mila euro (ipotizzando un costo di mille euro l’uno). «Un costo molto più basso di quello di una dialisi», spiega Aschieri.

A Torino due vite salvate grazie ai DAE

Anche a Torino e nel Piemonte c’è chi da anni lavora per salvare vite umane con la cultura del primo soccorso e dell’uso dei defibrillatori. Si tratta dell’associazione italiana cuore e rianimazione “Lorenzo Greco onlus” che prende il nome da uno sfortunato ragazzo di 12 anni che nel 2014 è morto a Torino per arresto cardiaco. Instancabile la loro attività di formazione e sensibilizzazione nelle scuole con oltre 18mila studenti informati sui rischi cardiovascolari e più di 500 defibrillatori installati soprattutto in Piemonte ma anche in altre regioni come Liguria e Sicilia. Hanno contribuito anche alla cardioprotezione della metropolitana di Torino, la prima in Italia nel 2015.

«Siamo delusi dalla lentezza dell’iter legislativo della legge sui defibrillatori soprattutto perché l’andamento faceva sperare in un rapido iter di approvazione», spiega il presidente Marcello Segre.

«Senza una legge che sancisce una sorta di liberalizzazione all’uso del defibrillatore e comincia a far ragionare un Paese sull’importanza della diffusione dei defibrillatori non si va lontani – continua Segre -. Questa legge in discussione, peraltro, non obbliga all’installazione ma favorisce un’importante sensibilizzazione. È una legge di civiltà che c’è già in 14 Paesi europei. Pensiamo agli incendi: ogni anno muoiono 150 persone e per prevenirli c’è un estintore ogni 30 metri. Per arresto cardiaco ogni anno muoiono 60mila persone e si fa troppo poco».

Segre racconta dei casi in cui i defibrillatori installati sono risultati decisivi per salvare una vita: da Flavio Poli, presidente della Lega Navale di Torino, nel 2016 colpito da arresto cardiaco al Cottolengo e salvato da una doppia scarica di DAE operata da una suora. Fino al giovane Andrea, ragazzo del Liceo linguistico Giordano Bruno salvato da un defibrillatore donato proprio dall’associazione Lorenzo Greco.

«Alla politica chiediamo di fare presto. Ogni minuto che passa senza un massaggio cardiaco la probabilità di sopravvivere cala del 10%. Il defibrillatore serve a far ripartire autonomamente quel cuore che è in fibrillazione ventricolare. Fondamentali i primi cinque minuti, dopo iniziano i danni cerebrali. Oggi la sopravvivenza da arresto cardiaco è del 5% ma pensiamo che si possa aumentare di un 30-40%» spiega ancora Segre, che poi aggiunge: «Fare cultura è fondamentale. Non basta dire ‘abbiamo cardioprotetto’. Serve informare la popolazione, fare degli incontri. Altrimenti rimane un monumento alle intenzioni. Poi serve la manutenzione dei defibrillatori ma al momento non c’è una norma», conclude.

 

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