Uno studio dei ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù dimostra la correlazione tra consumo di alte quantità di fruttosio e sviluppo di malattie epatiche gravi. Valerio Nobili, specialista in Malattie Epatometaboliche: «L’abuso sistematico di quantità di zucchero aggiunto, provoca gli stessi effetti dell’alcol, in particolare nei bambini»
Troppo zucchero è veleno per il fegato dei nostri figli. Lo zucchero naturale è ampiamente presente in molti dei cibi che consumiamo abitualmente. Dalla frutta ai vegetali, dalla pasta alla pizza, il fruttosio in una dieta bilanciata non provoca effetti negativi, eppure l’abuso sistematico genera gli stessi effetti dell’alcol, in particolare nei bambini.
Questa la fotografia scattata dai ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù che, per la prima volta, dimostra la correlazione tra consumo di alte quantità di fruttosio e sviluppo di malattie epatiche. Lo studio è stato condotto tra il 2012 e il 2016 su 271 bambini e ragazzi affetti da fegato grasso.
In un bambino su due gli esami effettuati hanno rilevato livelli eccessivi di acido urico in circolo. L’acido urico è uno dei prodotti finali della sintesi del fruttosio nel fegato. Attraverso ulteriori indagini, incrociate con i dati emersi dal questionario alimentare somministrato ai pazienti, i ricercatori hanno dimostrato l’associazione tra gli alti livelli di acido urico e l’aggravarsi del danno al fegato, soprattutto tra i grandi consumatori di fruttosio: quanto più zucchero ingerivano con la dieta abituale, tanto maggiore era il danno riportato dalle loro cellule epatiche. Ai nostri microfoni il responsabile della ricerca Valerio Nobili, specialista in Malattie Epatometaboliche.
Una ricerca che correla il fruttosio all’insorgere di malattie epatiche nei bambini. Ci può dare qualche dettaglio in più?
«Io insieme alla mia equipe da qualche anno stiamo cercando di capire più da vicino le cause del danno al fegato dovute all’alimentazione. I nostri bambini molto spesso, si alimentano in maniera assolutamente inadeguata e questa è una delle cause del boom dell’obesità in Italia. Tra i vari elementi incriminati, la letteratura ci ha sempre detto che il fruttosio è al primo posto come agente responsabile. Il nostro è sostanzialmente consistito nell’identificare il danno del fruttosio e la sua correlazione con i livelli di acido urico e alla fibrosi del fegato».
Il fruttosio è contenuto nella frutta ma in quali altri alimenti di uso comune è presente?
«Il fruttosio è uno zucchero che deriva anche dalla scissione del saccarosio, che è formato da fruttosio e glucosio. Quindi come tale è presente anche nelle bevande zuccherate, nelle merendine, in alcuni snack salati, insomma in molti di quei prodotti che soprattutto i bambini, consumano fra un pasto e l’altro».
Quale fascia d’età è più sensibile a questo genere di alimenti e quale dieta consiglia?
«Per quel che riguarda la fascia d’età, purtroppo, la forbice si è drammaticamente allargata, quindi abbiamo bambini che già a 2 anni sono in eccesso ponderale. Diciamo che da subito noi pediatri dobbiamo intervenire per controllare l’eccesso di peso che deve essere trattato come l’inizio di una malattia vera e propria. Le soluzioni sono abbastanza semplici. I dati scientifici ottenuti rispetto alla ricerca che abbiamo condotto, confermano le ripercussioni che alcuni alimenti, in particolare contenenti fruttosio, hanno verso alcuni organi interni, in particolare il fegato. Le soluzioni? Sono a portata di tutti, ma è un po’ difficile applicarle: nutrizione sana, come ci hanno insegnato i nostri nonni, frutta, pesce, verdura e attività fisica, non sottovalutiamo mai l’importanza anche dello sport nei bambini sin da piccoli fino agli adolescenti».
Il risultato di queste nuove ricerche dovrebbe essere maggiormente diffuso? Soprattutto nell’ottica di formare i medici di base, i pediatri e informare la popolazione?
«Esattamente, è proprio questo il fine delle nostre ricerche. Noi lavoriamo anche perché ci sia consapevolezza del danno che i nostri bambini possono ricevere da una alimentazione sbagliata. In questo caso, il fruttosio e gli alimenti in cui è contenuto, dovrebbero essere drasticamente ridotti».