Salute 30 Ottobre 2020 05:41

Ortopedia e ricerca, il futuro è nella Medicina Rigenerativa?

Il 10% degli over 65 soffre di artrosi. Causata dall’invecchiamento o dallo stress dovuto ad intensa attività sportiva, da microlesioni o fratture, ma anche dalla genetica, in questi ultimi anni si è affacciata una nuova possibilità per impedirne l’ulteriore deterioramento e favorire l’autorigenerazione dei tessuti. Parliamo della Medicina Rigenerativa, l’ultima frontiera terapeutica contro le malattie cronico-degenerative della […]

di Vanessa Seffer, Uff. stampa Cisl Medici Lazio
Ortopedia e ricerca, il futuro è nella Medicina Rigenerativa?

Il 10% degli over 65 soffre di artrosi. Causata dall’invecchiamento o dallo stress dovuto ad intensa attività sportiva, da microlesioni o fratture, ma anche dalla genetica, in questi ultimi anni si è affacciata una nuova possibilità per impedirne l’ulteriore deterioramento e favorire l’autorigenerazione dei tessuti. Parliamo della Medicina Rigenerativa, l’ultima frontiera terapeutica contro le malattie cronico-degenerative della cartilagine, ammortizzatore naturale delle articolazioni.

Ne abbiamo parlato con il dottor Giuseppe Teori, chirurgo ortopedico degli arti a Rieti, delegato sindacale della Cisl Medici Lazio.

L’ortopedia nell’anziano. Quanto e quando si può intervenire?

«Le patologie ortopediche dell’anziano sono prevalentemente degenerative. Se insieme a queste associamo una componente di familiarità, allora avremo circa il 33% della possibilità di avere una patologia. Se abbiamo una familiarità all’artrosi, la patologia ortopedica dell’anziano più frequente e degenerativa della cartilagine, davanti ad un evento lesivo su base traumatica o microtraumatica con anche familiarità per l’artrosi ma nessun evento, oppure se il paziente conduce una vita sedentaria, potenzialmente l’evento artrosi può essere visibile solo alle radiografie ma non giungerà mai ad una visita ortopedica. Diverso è se ha familiarità per l’artrosi e fa un’attività sportiva intensa. In questo caso può succedere che si manifesti una maggior usura della cartilagine. Molti anziani fanno sport a bassa intensità come il ballo, la camminata, la bicicletta, molto sani per i pazienti che non hanno familiarità per l’artrosi, perché mantengono un’ottima massa muscolare e una buona qualità dell’osso. Sono quindi attività da consigliare che fanno bene al cuore, a tutta la parte muscolo-scheletrica, ma che non sono ben tollerate nei pazienti che hanno familiarità per l’artrosi. Aumentare l’usura delle articolazioni comporta di trovarsi già a 50/55 anni dall’ortopedico. Quindi ci sono pazienti che vanno dall’ortopedico in giovane età ed altri in tarda età».

Cosa ci dice del nuoto e della corsa? In tanti praticano questi sport anche in tarda età. Ma tutti si chiedono quali possono essere le conseguenze, specie riferendosi alla corsa al parco, ad esempio, per le caviglie, le ginocchia, i legamenti.

«Per i pazienti che hanno familiarità con l’artrosi da parte del padre o della madre e ne hanno consapevolezza, è consigliabile un’attività fisica a basso impatto, quindi il nuoto sicuramente, stile, dorso, acquagym, sono sport consigliati. Controindicata è la corsa. Una via di mezzo può essere la camminata che non compromette la situazione. Se i genitori non hanno mai avuto eventi che li hanno condotti dall’ortopedico, allora possono fare tutte le attività sportive di cui hanno passione. Poi oggi abbiamo anche la possibilità, grazie alla Medicina Rigenerativa, ancora del tutto sperimentale, ma che ha grandi basi a livello della medicina di base, in vitro e sugli animali, che ci fornisce un nuovo canale. Presìdi che consentono di poter stimolare la riparazione delle articolazioni».

Stiamo parlando di persone che hanno oltre i 65 anni. La Medicina Rigenerativa è rivolta a tutti? Di cosa si tratta?

«La Medicina Rigenerativa è rivolta a tutti. Il principio è questo: nel nostro corpo ci sono tutti gli strumenti idonei per attivare una riparazione autonomamente. Noi siamo in grado di poterci riparare tutte le nostre strutture che si rovinano e che si usurano. Questi meccanismi però bisogna saperli stimolare. Ci sono persone che hanno la capacità di potersele autoriparare, faccio un esempio: se andiamo a fare un giro in un parco, vedremo un settantenne che corre, ce ne sono tanti, e la cosa certa è che se gli chiedessimo se è mai caduto e se gli si è gonfiato un ginocchio, ha messo il ghiaccio ed ha aspettato mettendosi a riposo che gli passasse, ci direbbe che poi gli è passato ed ha ripreso a correre. Quella persona forse non è mai stata da un ortopedico. Poi su una panchina vedremmo un uomo di cinquant’anni che ha una protesi bianca al ginocchio, perché in giovane età ha avuto un incidente in bicicletta, in moto, si è rovinato l’articolazione, non se l’è più riparata e si è innescato un meccanismo che lo ha portato alla necessità di sostituire la funzione con una protesi. La Medicina rigenerativa ha la presunzione, ma anche la capacità, di poter stimolare usando degli strumenti che se usati nei momenti giusti dei processi infiammatori, possono interromperli e stimolare la riparazione degli stessi. Gli strumenti che la Medicina rigenerativa usa vengono dal corpo, cellule del midollo osseo, cellule prese dal grasso, dalle piastrine e poi ci sono delle strutture come l’acido ialuronico, peptidi bioattivi, strutture conosciute e validate in commercio, che usate insieme possono e riescono a riparare la cartilagine o ad accorciare i tempi di guarigione. La Medicina rigenerativa non è convenzionata, si occupa di una moltitudine di specialità in ambito salutare, non si usa solo in ortopedia, ha il vantaggio di non essere costosissima ed è una parte molto utile della medicina che io consiglio spesso, piuttosto che ricorrere alle protesi che vengono prescritte».

Anche se i costi non sono altissimi non sono per tutti affrontabili. Comunque ci sono delle specialità, dove servono cure speciali, specie quelle rivolte soprattutto agli anziani, dove il Sistema Sanitario Nazionale non va loro incontro.

«Per la parte ortopedica abbiamo un abuso di protesi, nel senso che abbiamo tolto il cottimo in edilizia e lo abbiamo messo in sanità. Ci sono colleghi che lavorano solo con il convenzionato e al convenzionato è stata data la possibilità in almeno 19 regioni su 20, di potersi scegliere le patologie da trattare. L’unica Regione in cui non si può scegliere è il Veneto. Infatti lì ci sono pochissime strutture convenzionate. Ho lavorato lì due anni e ne ho un bel ricordo. Riconosco ai veneti l’attaccamento all’ospedale pubblico, grande rispetto per i medici e per quello che è la sanità pubblica. Per cui hanno mantenuto tanti ospedali, hanno cercato di consorziarsi, e ci sono le aziende venete che fanno donazioni per ripararli, per donare macchinari. C’è un grande senso civico che non c’è in altre regioni. Lì il privato che si affaccia dove si fa un certo tipo di chirurgia costosa, deve farne una parte anche per il pubblico, si crea un equilibrio. Nel mondo delle protesi, oggi tutte affidabili, di qualità, facili da mettere, i chirurghi sono tutti abbastanza bravi. Si esce dalla specializzazione dove hai già partecipato almeno a 100/120 interventi di protesi l’anno, quindi comunque già lo specializzando, se ben formato, già dopo un paio d’anni, può aver superato le cento protesi come primo operatore. Il problema delle protesi può essere l’infezione, che non è mai un problema del chirurgo».

Cioè è difficile sbagliare a mettere una protesi?

«È molto difficile. Si sbagliano quando la curva di apprendimento è solitaria. Ma sono mosche bianche, eventi rarissimi. Oggi come oggi non ci sono colleghi irresponsabili. Se qualcuno avesse un dubbio si farebbe aiutare, il paziente ha sempre un trattamento di qualità».

Tornando alla Medicina Rigenerativa, è quindi una nuova filosofia della salute?

«La Medicina Rigenerativa potrebbe essere una possibilità, con costi bassi, di poter diminuire il numero di protesi, ma che è rivolta a pazienti singoli, a piccoli centri o poli universitari. È un nuovo modo di pensare. Cercare nel proprio corpo le cellule e le strutture che possono servire per stimolare la cartilagine, il cuoio capelluto, il sottocute, il derma, per autoripararci e si può fare. Poi non tutti hanno benefici, ma se per ogni cento pazienti che vi si rivolgono la metà non fanno la protesi, per il SSN sono ventimila euro risparmiate a paziente, diecimila per l’intervento e diecimila per la riabilitazione al SSN. Per giunta, se capita l’evento rarissimo dell’infezione su protesi, lo 0,8%, quel paziente rischia di diventare un invalido civile, di fare altri interventi che costano 50-70mila euro e di costare al sistema pensionistico e all’INPS diverse centinaia di migliaia di euro. Bisogna quindi formare una classe medica ad avere maggior sensibilità. Proprio perché la vita si allunga, almeno prima dei settant’anni e dopo gli 85 anni dovremmo fornire questo strumento di Medicina rigenerativa».

Quali azioni preventive si possono adottare?

«L’esercizio fisico, secondo quello che più piace e che ci possiamo permettere per il livello di salute e una buona alimentazione, povera di grassi e di zuccheri complessi. Questa è una società che mette grassi in tutte le sostanze per renderle più gradevoli. Per questo abbiamo diversi problemi a vari livelli di salute. Badare alla familiarità dell’artrosi e in quel caso non cercare la prestazione, ma il piacere di una passeggiata. Poi non tutti siamo programmati per fare gli stessi gesti, anche alla stessa età. Bisogna ascoltarsi molto e ascoltare meno il pensiero».

Consigli per l’uso delle vitamine?

«Le più importanti per i problemi ortopedici sono la vitamina C e la D. La vitamina C perché siamo fatti di collagene ed è importante per i processi riparativi, e la vitamina D perché i recettori sono stati trovati sull’osso, come è noto, sul muscolo, novità degli ultimi anni e sulla cartilagine. Quindi processi artrosici acuti o infiammatori acuti possono essere ritardati dalla vitamina D. Non è una moda, ma soprattutto chi vive sugli Appennini deve provvedere a prendere la vitamina D, contrariamente a chi vive a Lampedusa o a Ischia che ne ha meno bisogno. Allora devono essere le Asl a dialogare con i medici di base per aiutare gli utenti. Basta un’ora fra dirigenti e medici di famiglia, per capire come è fatto un territorio».

 

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