Forti difformità tra regioni nell’applicazione del Piano e il Covid ha peggiorato la situazione. La senatrice Guidolin (M5S): «Coinvolgere le associazioni del territorio per combattere l’isolamento»
L’Italia dei 21 sistemi sanitari regionali si conferma a macchia di leopardo anche per quanto riguarda l’applicazione del Piano nazionale delle demenze approvato ormai nel lontano 2014. Solo un anno fa, poco prima dello tsunami Covid-19 che ha travolto il mondo e l’Italia, l’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità tracciava un quadro preoccupante dello stato dei servizi: in vaste aree del Paese, al Sud soprattutto, i centri ancora non ci sono o sono poco più di un miraggio, così come la disponibilità e la qualità dei percorsi di diagnosi e di trattamento. Un vero dramma, considerando che l’Italia è il Paese più longevo d’Europa con 13,4 milioni di ultra-sessantenni. Si stima inoltre che la demenza colpisca 1.241.000 persone e che i costi diretti per l’assistenza superino gli 11 miliardi di euro, secondo il Censis.
Un quadro che è diventato ancora più critico con la pandemia da Covid-19, come conferma a Sanità Informazione Patrizia Spadin, Presidente di AIMA (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer): «Praticamente con il Covid non c’è stata più assistenza per questi malati. È stato un periodo drammatico per le famiglie perché da una parte le badanti spesso se ne sono andate perché positive o perché dovevano occuparsi della loro famiglia. Dall’altre parte i servizi sanitari hanno subito delle drastiche chiusure, come è stato logico che succedesse, ma non ci si è riorganizzati per la riapertura se non lentamente verso luglio-agosto. È stato un periodo molto difficile perché tutto è ricaduto sui familiari, compreso il peggioramento della malattia: tutti i pazienti (lievi, moderati, severi, giovani e anziani) sono infatti peggiorati moltissimo. Ora, con la seconda ondata, si rischia di tornare nella stessa situazione, alcuni servizi stanno iniziando a chiudere».
Dall’AIMA arriva la conferma di quello che l’Osservatorio dell’ISS aveva registrato l’anno scorso: troppe differenze tra regioni nell’applicazione del Piano. «Il Piano nazionale per le Demenze è stato implementato in alcune regioni, altre non l’hanno recepito perché hanno problemi di rientro. Per cui i soldi per implementare il Piano non ci sono», spiega Spadin, che commenta con amarezza: «Noi legati al tema demenze usciremo con le ossa rotte da questo Covid».
Le difficoltà delle famiglie e le grandi difformità tra regioni nell’assistenza ai malati di demenze hanno spinto la senatrice del Movimento Cinque Stelle Barbara Guidolin a presentare un Disegno di legge che promuove la creazione di un fondo mirato a promuovere interventi appropriati nella gestione integrata della demenza che si concretizzino in una diffusione di buone pratiche su tutto il territorio italiano oltre all’istituzione di un Tavolo ufficiale di lavoro e confronto, fino ad oggi operativo in maniera informale, che consenta un monitoraggio e un’implementazione costante di quanto contenuto nel testo del Piano Nazionale Demenze.
«Nel breve periodo si deve cercare di potenziare i servizi assistenziali territoriali, attraverso un costante monitoraggio e supporto di questi pazienti, se necessario, anche a distanza – spiega Guidolin a Sanità Informazione -. È poi necessario combattere l’isolamento, tipico delle persone affette da demenza. I Comuni dovrebbero coinvolgere le associazioni del territorio, anche al fine di attivare una catena di solidarietà per dare corso a varie iniziative, come ad esempio la lettura di racconti (che può essere fatta da remoto) o un passaggio all’esterno della casa del malato anche solo per un saluto: sono cose semplici che possono in realtà dare sollievo a queste persone. Ancora, mi viene in mente la clown therapy che molto spesso viene attivata nelle RSA e che coinvolge anche i giovani, iniziativa questa che potrebbe essere riproposta, in massima sicurezza, anche presso il domicilio del malato».
In base al Ddl il Fondo per le demenze avrà una dotazione pari a 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022. Un’iniezione di denaro che potrebbe essere favorita anche dal Recovery Fund: dall’Europa potrebbero arrivare fondi anche per un’altra partita che si sta giocando in Parlamento, la legge sui caregiver molto attesa dai familiari dei malati di demenza.
«Il riconoscimento del lavoro del caregiver familiare è un altro importante tassello per migliorare l’assistenza in famiglia – aggiunge Guidolin -. In Commissione lavoro Senato stiamo portando avanti un Ddl per il riconoscimento della figura del caregiver di cui sono relatrice. Sicuramente nel Recovery Fund troveremo delle risorse anche per questo».
«Si va nella strada giusta – commenta Spadin -. Il Ddl è migliorabile ma è già qualcosa. L’Alzheimer non è solo assistenza, è anche sanità. Andrebbe implementata tutta la parte sanitaria. Adesso noi sappiamo che ci sono nuovi farmaci in arrivo. Sono farmaci particolari che hanno la specificità di essere attivi ed efficaci soltanto nei prodromici e quindi avremmo bisogno di una sanità in grado di scovare i prodromici, di fare prevenzione. E nel prossimo futuro abbiamo bisogno che venga implementata anche la specialistica specifica per le demenze. Al governo voglio dire che non possono dimenticarsi di un così grande numero di pazienti lasciandoli a casa chiusi con i familiari. Noi ci mettiamo tanta buona volontà ma non possiamo reggere tutto il peso da soli. Il welfare relativo alla demenza non può chiudere».
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