Cos’è la porpora trombotica trombocitopenica, una malattia autoimmune della coagulazione del sangue estremamente rara, di cui soffrono poco più di 250 italiani
Nel luglio 1924 per la prima volta Eli Moschcowitz descrive i sintomi di una patologia sconosciuta fino ad allora, che ha osservato in una ragazzina di 16 anni. Era la porpora trombotica trombocitopenica, una malattia autoimmune della coagulazione del sangue estremamente rara. In Italia ne soffrono poco più di 250 persone, che ora chiedono a gran voce di istituire una Giornata nazionale dedicata, per aumentare la conoscenza sulla patologia da parte di clinici e pubblico.
La porpora trombotica trombocitopenica ha due tipi di manifestazioni: ereditaria per il 5% dei pazienti e acquisita per la quota restante. Nonostante siano stati fatti passi da gigante nella gestione della malattia, a volte è difficile riconoscerla perché presenta una sintomatologia estremamente varia. Per chiarirne alcune caratteristiche ci siamo rivolti alla dottoressa Luana Fianchi, U.O.C. Ematologia e Trapianto di cellule staminali emopoietiche, Policlinico Agostino Gemelli di Roma.
«È una patologia rara – ci spiega – ma rappresenta per noi ematologi un’emergenza vera e propria. I sintomi possono essere variabili: generalmente è sempre presente una riduzione della conta piastrinica, possono esserci petecchie rosse (porpora) sulla pelle, il paziente può avere delle manifestazioni neurologiche e anche arrivare da una cefalea sfumata al coma, ci può essere un’insufficienza renale e in alcuni casi anche la febbre associata a un’anemia, che è caratteristica della porpora trombotica legata a una distruzione meccanica dei globuli rossi».
La patologia non si presenta sempre nello stesso periodo di vita: quella ereditaria è caratteristica dell’età pediatrica, mentre le forme acquisite per anticorpi colpiscono principalmente le giovani donne. «Al momento da una stima sono circa 270-280 i pazienti con nuova diagnosi in Italia – continua l’esperta -. In genere chi riceve questa diagnosi impara a riconoscerla e a riconoscere i sintomi. Si tratta di pazienti che vanno tenuti sotto controllo e hanno un centro di riferimento e sanno riconoscere eventuali manifestazioni. I pazienti sono molto consapevoli della loro patologia, una volta superata la fase acuta che è quella più drammatica».
La porpora trombotica trombocitopenica è infatti ancora una malattia con percentuale abbastanza alta di mortalità: tra 15 e 20%. Per evitare il decorso più infausto della patologia è vitale una diagnosi tempestiva, che prevenga la manifestazione acuta. «Nell’ultimo anno e mezzo – spiega Fianchi – è stato approvato un nuovo farmaco per il trattamento, che ha decisamente migliorato la prognosi di questi pazienti perché va ad agire sulla situazione che crea il danno d’organo, riducendo la mortalità almeno del 10%. Chiaramente è sempre una mortalità molto alta considerando una patologia non oncologica, ma sono convinta che imparando a conoscere la patologia la cosa importante resti la diagnosi precoce».
Per assicurarla l’importante è una vasta campagna di sensibilizzazione, come quella che richiede l’Associazione nazionale Porpora trombotica trombocitopenica APS. «Sensibilizzare i vari centri per diagnosticare la patologia nell’immediato è essenziale. È dimostrato che iniziare un trattamento entro 24 ore dall’insorgenza dei sintomi impatta in maniera significativa sulla mortalità, quindi la cosa principale è conoscere per iniziare il trattamento più adeguato nella maniera più efficace e pronta possibile», ribadisce l’esperta del Gemelli.
Molto spesso questi pazienti vengono a contatto per primi con medici di Pronto soccorso, che devono arrivare nel minor tempo possibile al sospetto clinico. «È poi essenziale che sia reso disponibile un test che fa da conferma diagnostica, che è il dosaggio dell’attività di Adamts13 che ancora oggi in Italia viene sviluppato in pochissimi centri. In una regione come il Lazio per esempio c’è un unico centro dove viene effettuato, il Gemelli, quindi questo svantaggia i centri che devono aspettare una conferma diagnostica. Dunque questi sono i due pilastri fondamentali: educazione e facilitare l’esecuzione di questo test diagnostico, che alla fine è semplice però è salvavita per il paziente».
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