«Fin dall’adolescenza mi sono scontrata con i miei limiti, poi ho deciso di superarli. Oggi il mio intento è aiutare anche gli altri a farlo»
“Chi nasce disabile in un piccolo centro del sud Italia, nasce disabile due volte”. Ad affermarlo è Nadia Lauricella, ventottenne influencer siciliana di Racalmuto, provincia di Agrigento, in campo contro l’abilismo (la discriminazione attuata nei confronti delle persone con disabilità), con all’attivo oltre 50 mila followers su Instagram e 763 mila su Tik Tok.
Nadia, focomelica dalla nascita a causa di una malformazione che per la quale non ha sviluppato gli arti superiori e solo parzialmente gli arti inferiori (che usa per compiere la maggior parte delle attività quotidiane come scrivere, mangiare, truccarsi) si è scontrata con il pregiudizio e gli stereotipi, ma non si è data per vinta. La sua “rinascita” è la dimostrazione che da una volontà di ferro (come suggerisce il suo nickname Ironadia) e dalla consapevolezza di non essere inferiore a nessuno nasce la possibilità di andare oltre i propri limiti, di poter mostrare ciò che si è al di là della propria disabilità, e che accettarsi ed amarsi è la chiave per superare tutti gli ostacoli, aprendo una breccia nella coltre di tabù che ancora aleggia intorno al tema della disabilità.
I social? Lo strumento per intercettare e sensibilizzare il più possibile, per attuare quella “piccola grande rivoluzione culturale” e diventare portavoce della diversità come unicità. Il sogno realizzato? Poter praticare motocross grazie alla mototerapia, e diventare vicepresidente dell’associazione che porta questa disciplina sul territorio nazionale. Ecco la sua storia ai nostri microfoni.
«Sicuramente l’adolescenza: purtroppo chi nasce disabile in un piccolo paese della Sicilia, come me, nasce disabile due volte. Perché purtroppo esiste una mentalità che tende ad addossare pregiudizi e stereotipi, e quindi la disabilità, essendo la prima cosa che balza all’occhio, era come un’etichetta. Nonostante io abbia sempre avuto molte amicizie, nel periodo dell’adolescenza i miei coetanei vivevano le prime cotte e storielle, ma io non ero oggetto di quelle attenzioni. In quella fase mi sono percepita come “diversa”. Cosa che invece non era mai accaduta durante l’infanzia, da bambina ero molto integrata, le miei compagne di classe facevano a gara per sedersi accanto a me. Tra l’altro, non avevo nessuno che mi spingesse ad esplorare le mie capacità, ero solo circondata da persone che non facevano altro che ricordarmi i miei limiti. Tutto era un “no”, “non puoi riuscirci”, “non fa per te”. E tutti quei no si erano radicati in me, sono no a cui ho creduto fino ai miei 24 anni».
«Poi ho deciso finalmente di fare qualcosa per me, di abbracciare la mia condizione e di accettarla chiedendomi “cosa posso fare per migliorare”? Intanto ho deciso di rifare la protesi alla gamba, perché avevo un obiettivo, comune a tutte le donne: indossare i tacchi. Ho iniziato quindi anche un percorso ortopedico riabilitativo, con la consapevolezza della mia unicità ho imparato ad amarmi, anche esteticamente. Ad oggi, con la maturità dei miei 28 anni, ho accettato di non essere un peso per le persone che mi aiutano in alcune attività quotidiane, come invece temevo di essere un tempo».
«Moltissimo, sicuramente, non appena ho iniziato ad usarli bene, con consapevolezza del messaggio che volevo lanciare. Volevo liberarmi delle etichette che mi hanno condizionato per anni e che non mi appartenevano. Avevo proprio voglia di mostrare chi è Nadia. Dietro ogni persona c’è un mondo che va conosciuto e che merita di essere conosciuto. Quindi con molta semplicità ho iniziato a raccontare la mia routine, la mia vita, le mie esperienze, anche il mio percorso riabilitativo. In parallelo con l’interesse dimostrato dai miei follower, sta cambiando il modo di approcciarsi alla disabilità nel territorio in cui vivo, le persone non si rivolgono più a me con toni pietistici o infantili. Molti mi scrivono: “la tua disabilità è evidente, ma la tua personalità e il viverti nella quotidianità anche attraverso i social ce ne fa dimenticare. Non vediamo più la disabilità, vediamo te”».
«Mi sono appassionata al mondo del motocross vedendo i video di Vanni Oddera, ex campione mondiale di freestyle e ideatore della mototerapia, che ha creato un modo per avvicinare la disabilità ai motori. In moto riesco a provare emozioni uniche, io non posso correre ma la moto corre al posto mio facendomi vivere quell’attimo di adrenalina e gioia allo stato puro. In moto la disabilità non esiste, esisti solo tu, lei, e colui che ti porta, con il quale inevitabilmente si crea un rapporto indissolubile. Oggi grazie alla mototerapia ho anche una mia associazione, la Motorlife di cui sono vicepresidente, grazie alla quale riusciamo a portare la mototerapia in tutto il Sud Italia. Riusciamo ad avvicinare tantissimi bambini e ragazzi con disabilità ai quali, così come succedeva a me, sono sempre stati mostrati solo i limiti dati dalla loro condizione e non le possibilità, e ai quali invece oggi riusciamo a dire con cognizione di causa che sì, volere è potere».
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