Antonio Sorice, Presidente della Società Italiana di medicina veterinaria preventiva «Colpisce suini domestici e cinghiali, non l’uomo ma può avere ripercussioni ingenti nel settore dell’export alimentare. Importante monitorare i territori interessati, le regioni limitrofe e seguire alcune regole fondamentali».
È salito a 114 il numero dei Comuni interessati dalla peste suina. 78 in Piemonte e 36 in Liguria, compresi dal Ministero della Salute nella cosiddetta “zona infetta” da Peste Suina Africana, alla luce dei nuovi casi confermati (al momento sono quattro) e in riferimento alle indicazioni della Commissione Europea. Così Piemonte e Liguria cercano tempestivamente di mettere un freno al propagarsi di una patologia che, se pur non contagiosa per l’uomo, rischia di innescare una nuova emergenza. Ne abbiamo parlato con Antonio Sorice, Presidente della Società Italiana di medicina veterinaria preventiva e direttore del dipartimento veterinario ATS di Bergamo: «Il virus colpisce i suini domestici e selvatici quindi cinghiali e maiali. Non è trasmissibile all’uomo, ma è un virus che genera un problema sanitario importante nell’ambito del settore zootecnico europeo, con ripercussioni economiche ingentissime».
Il virus, infatti, originario dell’Africa centrale sub Sahariana, era già stato riscontrato in passato in Sardegna, ma con un sierotipo differente (di tipo I). Grazie al lavoro dei veterinari è stato quasi completamente eradicato, per presentarsi oggi, in una nuova veste (genotipo II) in Piemonte e Liguria da cui è arrivato attraverso i Balcani dopo aver fatto ingenti danni in Germania lo scorso anno.
Dopo le prime analisi effettuate a Torino, presso l’istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte-Liguria e Valle D’Aosta, a darne conferma è stato il centro di referenza nazionale per le pesti suine (Cerep) dell’istituto zooprofilattico sperimentale di Umbria e Marche che ha fatto scattare immediatamente la procedura di emergenza per delimitare la zona infetta e l’area di sorveglianza con la diffusione da parte del Ministero della Salute di alcune infografiche che spiegano nel dettaglio quali comportamenti adottare per limitare la diffusione del virus.
Ad essere in pericolo sono animali selvatici, come i cinghiali, e domestici, ovvero i suini. «Ad oggi il problema è circoscritto ai cinghiali, ma il rischio sanitario è che possa arrivare negli allevamenti dei suini domestici. Pertanto, i provvedimenti che si stanno adottando come le norme di biosicurezza, vanno nella direzione di preservare gli allevamenti dall’arrivo della peste. Il rischio importante è che ci sia la diffusione in altri territori con una forte presenza del settore agro alimentare come Lombardia ed Emilia-Romagna dove c’è una tradizione di eccellenze nell’export che, se dovesse fermarsi, andrebbe a generare un danno enorme per l’economia italiana». Conseguenze che hanno già colpito un paese come la Germania dove un focolaio riscontrato nel 2021 al confine con la Polonia ha comportato il blocco delle esportazioni verso la Cina con un danno stimato di oltre un miliardo e due cento milioni di euro. «Non possiamo neppure immaginare cosa significherebbe una limitazione analoga se dovesse colpire l’economia italiana, pertanto dobbiamo agire rapidamente con tutte le misure possibili per evitare il dilagare della peste suina africana».
Il virus della PSA è molto stabile, resiste ad un ampio range di pH e temperature (per anni nella carne congelata) ed è resistente all’autolisi, per cui rimane infettante per diverse settimane anche nelle carcasse abbandonate sul territorio. Viene inattivato solo dalla cottura e da specifici disinfettanti.
La contaminazione può essere diretta, tra animali selvatici e domestici, oppure indiretta attraverso la dispersione del virus nelle carcasse che persiste per mesi anche nelle stagioni fredde, o ancora antropogenica, attraverso l’attività dell’uomo. Questo ha reso necessaria l’introduzione di alcune regole stringenti per tutelare e garantire la circoscrizione delle aree infette.
«E’ immediatamente scattato il divieto di attività venatoria – spiega Sorice -. Non solo, le procedure emergenziali interessano anche turisti, escursionisti, trasportatori di animali, allevatori e veterinari e l’attività venatoria. Quindi è fondamentale la disinfezione di tutte le attrezzature usate: vestiti, fucili, mezzi di trasporto, attrezzature. Gli allevatori di suini devono mettere in atto misure di biosicurezza stringenti per evitare l’ingresso della PSA negli allevamenti attraverso contatti con animali selvatici o per il tramite di persone e mezzi che possono veicolare il virus. La circolazione di persone negli allevamenti deve essere limitata al massimo, mentre i veterinari devono prestare attenzione ad ogni caso sospetto negli allevamenti e negli impianti di macellazione».
Nella definizione dei confini della zona infetta, vengono tenute in considerazione la distribuzione del cinghiale e la presenza di barriere naturali o artificiali che possano ridurre il contatto tra popolazione di cinghiale infetta e indenne. Una volta individuata l’area infetta, nei comuni esiste il divieto di attività venatoria mentre per gli animali domestici ci sono disposizioni per la limitazione delle esportazioni dei prodotti a base di carne suina. «A livello preventivo sono fondamentali le segnalazioni di coloro che risiedono sui territori interessati. È dunque fondamentale un’azione di monitoraggio nelle regioni colpite dalla PSA e nelle limitrofe, Lombardia ed Emilia-Romagna, attraverso disposizioni per limitare la circolazione delle persone e per il monitoraggio degli animali. È importante non disperdere nell’ambiente residui di carne fresca o stagionata di suino, di non portare alimenti da paesi terzi, in caso di presenza di carcasse abbandonate anche in avanzato stato di decomposizione in un territorio occorre avvisare rapidamente i servizi veterinari, i carabinieri forestali o la polizia provinciale», conclude il Presidente della società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, sottolineando il grande impegno della sanità pubblica veterinaria per fronteggiare le emergenze epidemiche dalla PSA alla influenza aviaria.
In attesa della definizione delle aree del territorio da sottoporre a restrizioni per gestire i rischi associati alla diffusione della malattia, l’Istituto Profilattico del Piemonte e l’assessorato alla Sanità, con l’Assessorato all’Agricoltura si sono subito attivati per la gestione dell’emergenza. «Questa settimana incontreremo le Organizzazioni sindacali agricole per fare il punto sugli sviluppi della situazione sanitaria. Serve la collaborazione di tutti gli operatori del settore per offrire la massima protezione alla filiera produttiva del comparto suinicolo. Stiamo agendo con la massima tempestività, – spiega l’assessore della Sanità di Regione Piemonte, Luigi Genesio Icardi – nel tentativo di confinare ed eradicare il più possibile la malattia. Per questo, come previsto dal Piano nazionale per le emergenze di tipo epidemico, è stato attuato l’insediamento delle unità di crisi per l’adempimento delle azioni previste dal manuale operativo e dalle norme specifiche in materia». Un intervento che il Presidente del Piemonte Alberto Cirio e l’assessore all’agricoltura Marco Protopapa reputano però non più sufficiente. «Come più volte abbiamo fatto richiesta – puntualizzano – è necessario che le istituzioni preposte riprendano in mano la legge 157/92 per adeguarla alle esigenze attuali con una riforma radicale della legge sulla fauna selvatica perché con le norme attuali e la carenza di personale per il controllo, non siamo in grado di contrastare il fenomeno di proliferazione dei cinghiali. Non solo, visto l’intensificarsi dei casi di Peste Suina Africana (PSA) in tutta Europa – aggiungono – deve aumentare l’attenzione dell’Ue, per tutelare le produzioni zootecniche e l’economia delle nostre aziende, attivando decisioni urgenti che mettano in condizione le Regioni di poter operare su questa annosa criticità».
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