Lavenia (psicoterapeuta): «Il groomer non sceglie le sue vittime a caso: preferisce soggetti timidi. Individuato il prescelto, setaccia i suoi profili virtuali per raccogliere le informazioni utili a manipolarlo. Instaurati stima, fiducia e affetto, l’adulto adescatore chiederà un incontro dal vivo che, purtroppo, nella maggior parte dei casi, si concluderà con una violenza sessuale»
Passava di lì per caso, Marta (il nome è di fantasia) non era solita frequentare quella zona. Sarà stato un segno del destino se proprio quel giorno, in quel luogo, si trovava anche sua figlia dodicenne in compagnia di un adulto. La piccola aveva conosciuto quell’uomo un anno prima, in un gruppo social pro-anoressia. Francesca (anche il suo è un nome di fantasia), invece, è riuscita ad evitare che sua figlia di 10 anni incontrasse il 32enne con il quale si “intratteneva” da mesi in rete, scambiandosi persino video intimi.
Queste sono solo due delle tante storie di child grooming raccontate dai genitori che, quotidianamente, chiedono aiuto all’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, Gap e Cyberbullismo – Di.Te. – contattando il numero verde dedicato (800.770.960). Episodi che, spesso, finiscono sotto i riflettori dei media solo quando ormai è troppo tardi, quando l’epilogo si è già rivelato più che drammatico.
«Il child grooming – spiega Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Di.Te. – è un reato perpetrato da persone adulte che, attraverso chat o social network, manipolano psicologicamente bambini e adolescenti. Lo scopo finale è instaurare una relazione intima, sessuale, sfruttando i punti deboli del prescelto. Le vittime hanno un’età variabile dai 5 ai 16 anni».
Il child grooming, così come previsto dall’articolo 609-undecies deFine modulo del Codice Penale “… è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”. Nel corso del 2021 sono state arrestate 137 persone accusate di sfruttamento sessuale di minori e di adescamento online: i casi, rispetto al 2020, sono aumentati del 98%. Sono, invece, 1.400 le persone denunciate, con un +17% rispetto ai 12 mesi precedenti. (fonte: Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia online).
È proprio grazie a queste operazioni che è finito in manette un 50enne produttore di materiale di pornografia minorile. L’uomo ha abusato di due bambini di 6 e 8 anni: grazie alle sue spiccate doti manipolatorie è riuscito a conquistare la fiducia e l’affetto dei piccoli e dei loro familiari, tanto da aver videoregistrato, in due anni, circa 9mila scene di violenza sessuale. «Il “groomer” – dice Lavenia – per costruire il legame con la vittima prescelta si adatta al linguaggio utilizzato dai più giovani, slang ed emoticons compresi».
La scelta della “preda” non è casuale: «L’adescatore – continua lo specialista -preferisce soggetti timidi, che non hanno molti amici, i cui genitori sono generalmente poco o per niente presenti sui social. Individuato il prescelto, setaccia i suoi profili virtuali per raccogliere quante più informazioni possibile, per conoscerne caratteristiche fisiche e mentali, tutti elementi che gli permetteranno di manipolarlo e raggiungere i suoi scopi. Instaurato un rapporto basato sulla stima, la fiducia e l’affetto, l’adulto adescatore otterrà anche il numero di telefono, l’indirizzo, fino ad un vero e proprio appuntamento. Nell’incontro dal vivo con la vittima, purtroppo, nella maggior parte dei casi, si consumerà la violenza sessuale».
Per evitare di arrivare ad un punto di non ritorno, quello in cui il groomer ha già manipolato la sua vittima, se non addirittura abusato di lei, la prima cosa da fare è “stabilire delle regole”. «I genitori dovrebbero agire a priori – consiglia lo psicoterapeuta – decidendo, ad esempio, quali sono i siti internet a cui un bambino può accedere e quali devono essere assolutamente vietati. L’iscrizione ai social non dovrebbe essere consentita ai minori di 13 anni, ma la cronaca, purtroppo, racconta tutta un’altra storia. E stando a questa realtà dei fatti sarebbe doveroso chiedere ai propri figli di condividere la password di accesso ai profili virtuali almeno fino al compimento del quindicesimo anno di età. Regole a parte, è necessario stabilire anche un dialogo costante con i propri figli, abituandoli a raccontare le proprie giornate, i nuovi incontri sia reali che virtuali. È ugualmente essenziale osservare i cambiamenti di umore, l’aumento dell’irritabilità e la comparsa di disturbi del sonno. Ancora – aggiunge Lavenia -, notare se questi giovani modificano le modalità di utilizzo del proprio smartphone: se tendono ad usarlo di nascosto o in orari non canonici, potrebbero nascondere qualcosa».
Attenzione anche agli effetti della pandemia che, come emerge dallo stesso report pubblicato dalla Polizia Postale, ha incentivato questo tipo di reati: «Tra lockdown prima e ripetute quarantene ora, giovani e giovanissimi trascorrono sempre più tempo incollati agli schermi. L’isolamento – conclude il presidente dell’associazione Di-Te. – ha reso i nostri figli vittime più vulnerabili e più facilmente manipolabili».
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