L’ex ministra della Salute Mariapia Garavaglia traccia il parallelo con l’aborto: «Noi democristiani eravamo contrari, ma abbiamo contribuito a migliorare la legge». Poi aggiunge: «Il legislatore ha l’obbligo di non lasciare una materia così delicata, che tocca le corde intime delle persone, in balìa di un’autodeterminazione che può essere giocata solo in termini ideologici»
«Quello che sta accadendo l’avevamo visto anche ai tempi di Welby, si sta facendo una battaglia ideologica. È un grande dolore. Il mistero della vita e della morte non può essere un problema ideologico». Sono parole di Mariapia Garavaglia, ex ministra della Sanità e membro del Comitato Nazionale di Bioetica, organismo nel quale ha già avuto modo di portare le sue riflessioni sul tema. Garavaglia guarda con molta preoccupazione al referendum in materia, (il pronunciamento della Consulta è atteso per il 15 febbraio), che punta a rendere legale l’omicidio del consenziente con la riformulazione dell’articolo 578 del Codice penale.
«Si prospetta una concezione privatistica della vita, per cui il singolo può disporne e allontana l’impegno solidale e condiviso di custodire ogni vita. Viene meno quell’universo di valori, emozioni, impegni, che compromette la nostra stessa umanità» spiega Garavaglia.
Ma è sulla legge sul suicidio medicalmente assistito, in discussione alla Camera, che in questo momento sono puntati i riflettori. La legge, che vede relatori il dem Alfredo Bazoli e il pentastellato Nicola Provenza, recepisce quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale del 2019 sul caso DJ Fabo, ammettendo in alcuni circoscritti casi l’accesso al suicidio assistito.
Nello specifico, i giudici hanno stabilito che non è punibile chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Ed è su questo che si basa la legge, che inoltre riconosce il diritto all’obiezione di coscienza per i sanitari.
«Come membro del Comitato nazionale bioetica ho dovuto affrontare questo tema quando la nostra Corte costituzionale ha dovuto dare un parere – spiega l’ex titolare della Salute -. La Corte non ha potuto non esprimersi perché bisognava capire l’interpretazione da dare al suicidio assistito. Se da un lato c’è il diritto a rifiutare l’accanimento terapeutico quando ormai non ci sono più speranze, dall’altro è molto diverso chiedere di essere aiutati a morire quando è insopportabile la sofferenza».
«Siamo di fronte a problema enorme del quale parlo davvero con pudore – continua l’ex senatrice -. Con l’eutanasia lo Stato si libera dai problemi lasciandoli all’autodeterminazione. Invece lo Stato deve garantire l’assistenza migliore possibile nel tempo dato a qualsiasi malato anche nella fase terminale della vita: penso alla sedazione, alla terapia del dolore. Poi si può essere comunque disperati e allora il male minore è la legge con i paletti della Corte costituzionale».
In quest’ottica, secondo Garavaglia, è essenziale che il Parlamento legiferi in qualche modo nel più breve tempo possibile. «Questa legge potrebbe aiutarci ad evitare il referendum sull’omicidio del consenziente. La legge va fatta in fretta e deve essere chiara. Già mi soddisfa il fatto che abbiano scelto di fare una legge ad hoc invece che modificare la legge 219 del 2017 sul testamento biologico, disposizione anticipate di trattamento».
Sul tema, Garavaglia vede un parallelo con la legge sull’aborto. «Non so se voterei questa legge. Io appartengo a quella storia dei democristiani che credono molto nella laicità dello Stato. Basti pensare alla legge sull’aborto: noi democristiani eravamo contrari, ma abbiamo comunque contribuito ad elaborarla e a fare emendamenti migliorativi. Alla fine non l’abbiamo votata, ma il Paese l’ha accettata. Io nel CNB non avevo votato a favore, quindi anche in Aula non avrei votato a favore».
«Il legislatore laicamente deve sapere che ci sono sentieri strettissimi per difendere i diritti inviolabili della persona – conclude Garavaglia -. Uno dei diritti inviolabili è certamente la dignità e la libertà quando è destinata a creare confini per la convivenza ordinata nella comunità. La legge va in questa direzione. Il legislatore ha l’obbligo di non lasciare una materia così delicata, che tocca le corde intime delle persone, in balìa di un’autodeterminazione che può essere giocata solo in termini ideologici. La legge ci vuole. Spero che i miei colleghi attuali la approvino in fretta».
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