La Presidente dell’associazione spiega ai nostri microfoni i motivi per cui molti bambini non vengono vaccinati: «Tanti genitori hanno perso fiducia nelle istituzioni sanitarie, ma molti medici sconsigliano le vaccinazioni. È un problema di formazione, ma non possiamo escludere la mala fede»
Genitori che aiutano altri genitori a fare scelte consapevoli e informate in tema di vaccini. È questo l’obiettivo di “IoVaccino”, un’associazione che vuole contrastare il crescente scetticismo vaccinale attraverso un costante dialogo e campagne informative basate su evidenze scientifiche. Alice Pignatti, Presidente di “IoVaccino”, ha spiegato il progetto ai nostri microfoni.
«Il fenomeno dell’esitazione vaccinale è piuttosto complesso. Non basta semplicemente offrire delle informazioni. Quel che dobbiamo fare in questo momento è stringere un rapporto di fiducia e di dialogo con questi genitori che, di base, non hanno soltanto perso il valore delle vaccinazioni ma hanno, in generale, perso una fiducia verso le istituzioni sanitarie, compresi i medici, e dunque non sanno nemmeno più valutare l’autorevolezza delle fonti che trovano in rete. Quello che cerchiamo di fare tutti i giorni è di fare divulgazione sulle vaccinazioni ma soprattutto cerchiamo di stabilire dei rapporti concreti, nonostante tutti i limiti che esistono nelle relazioni sui social. In questo senso il nostro operato non può prescindere dall’operato dei medici sul territorio. Chiaro che noi possiamo fare una buonissima informazione, ma fin quando ci saranno medici sul territorio a sconsigliare le vaccinazioni, il nostro operato risulterà non impossibile ma sicuramente molto difficoltoso».
Secondo lei perché ci sono dei medici che li sconsigliano? Perché non conoscono la realtà delle cose, hanno dei problemi nella propria formazione. Secondo lei cosa manca nel medico che sconsiglia il vaccino?
«Il problema è sicuramente legato alla formazione dei medici che, in tema di vaccinazioni, non hanno a disposizione i corsi necessari per formarsi. Esiste tuttavia anche la possibilità che questi medici siano in mala fede e che, dunque, non si tratti soltanto di un problema di formazione o di ignoranza scientifica, ma ci sia in alcuni casi un vero e proprio desiderio di speculare sulla salute dei pazienti. Chiaramente il problema della mala fede è risolvibile attraverso un intervento dell’Ordine. Il problema della formazione, invece, è più complesso perché parte già dalle università e ancora prima dalle scuole, dove il metodo scientifico e la cultura scientifica hanno delle carenze che sono evidenti a tutti».
Qual è l’approccio migliore da adottare nei confronti di persone scettiche sull’efficacia del vaccino? Meglio adottare un approccio morbido, di dialogo, oppure opporre un muro attraverso un metodo più pragmatico, supportato da basi scientifiche?
«Credo che siano due piani che in un certo senso si intersecano, ma che vadano tenuti separati, nel senso che il metodo scientifico e le informazioni scientifiche non possono essere messi in discussione, ovviamente, nella sede del dialogo tra medico e paziente, perché non ci sono nemmeno le metodologie per poterlo fare. In questo senso è vero che la scienza non si può mettere in discussione. Non dobbiamo però confondere la discussione intesa come rivoluzione delle conoscenze scientifiche con una discussione che invece è comunicazione, ovvero far capire all’altro che cosa significa quello che sto affermando, il perché sia necessario vaccinare le persone. Questo è un aspetto che è assolutamente imprescindibile: non si può pensare di tornare a una semplice condizione per cui io ti dico cosa fare e tu, testa china, corri a farlo. Questa non è più un’ipotesi socialmente e storicamente formulabile. Ripeto, le due cose non sono sovrapponibili: nel cercare di discutere, di dialogare con un paziente, non si può mettere in discussione il contenuto. Si sta parlando semplicemente di forma e di rendere comprensibile una sostanza sicuramente non discutibile».