Da uno studio congiunto ISS, IRCCS San Raffaele e CNR una metodica innovativa per la diagnosi di malattie neurodegenerative, per testare strategie terapeutiche e identificare nuovi biomarcatori
In un futuro non troppo lontano potremmo dire addio alla Pet (Tomografia a emissione di positroni) e al prelievo del liquor per diagnosticare malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer e il morbo di Parkinson. La diagnosi potrà essere effettuata prelevando solo tre millimetri di pelle del paziente e l’esito arriverà nel giro di un paio di settimane.
«La nuova metodica si basa sulla conversione chimica diretta di fibroblasti della pelle dei pazienti in neuroni umani, senza ricorrere ad approcci transgenici, per la ricerca di marcatori di patologia», spiega Daniela Merlo, primo ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità e coordinatrice dello studio. La ricerca, pubblicata sulla rivista International Journal of Molecular Science, è stata condotta in collaborazione con Leonardo Lupacchini e Chiara De Dominicis (IRCCS San Raffaele di Roma) e Cristiana Mollinari (CNR- Istituto di Farmacologia Traslazionale).
«Il sistema da noi messo a punto per la ricerca di marcatori delle patologie neurodegenerative è a basso costo e poco invasivo rispetto a metodiche convenzionali – aggiunge la dottoressa Merlo -. Apparecchiature attualmente utilizzate per rilevare la malattia di Alzheimer, come ad esempio la PET, sono costose e soprattutto non presenti in tutti gli ospedali. Anche il prelievo del liquor, altra metodologia comunemente utilizzata allo stesso scopo, appare più invasiva. La pratica consiste in punture lombari nella parte bassa della schiena che devono essere effettuate da personale altamente specializzato. Il prelievo epiteliale, necessario per la nostra metodologia diagnostica, invece, può essere effettuato direttamente dal neurologo al momento della visita, con la stessa semplicità con cui si asporta un piccolo neo», assicura la ricercatrice.
Non è il metodo di conversione ad essere innovativo, quanto la sua applicazione: tale conversione diretta, seppur già nota, infatti, non è finora mai stata utilizzata per fare diagnosi. «I neuroni chimicamente indotti possono essere generati da cellule somatiche del paziente e rappresentano un modello in vitro, riproducibile in un tempo relativamente breve, per lo studio di meccanismi patogenetici delle malattie neurologiche – commenta Merlo -. Inoltre, il modello è perfetto per testare strategie terapeutiche e studi di medicina personalizzata».
Sulla scia di questi sorprendenti risultati e in virtù delle ampie possibilità applicative, gli scienziati che hanno lavorato allo studio auspicano di proseguire ed allargare la propria ricerca. «Speriamo che da questo studio pilota possa nascere una proficua collaborazione con numerosi clinici che abbiamo in cura pazienti a cui è stata già diagnostica la malattia di Alzheimer o il morbo di Parkinson. L’analisi delle cartelle cliniche e dei dati che emergeranno dalle nostre analisi – conclude Merlo – ci consentiranno di validare i nostri risultati per renderli più accurati e attendibili».
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