Il 46% degli assalti avviene in ospedali e cliniche. Il 28% nei servizi di assistenza sociale residenziale. In occasione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e sociosanitari che si celebra il 12 marzo, l’Istituto analizza gli infortuni lavorativi derivanti da aggressioni e minacce
Nel quinquennio 2016-2020 l’Inail ha accertato più di 12mila i casi di infortunio sul lavoro codificati come violenze, aggressioni e minacce perpetrate nei confronti del personale sanitario. Una media di circa 2.500 l’anno. Lo rileva la Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, in occasione della prima Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e sociosanitari che si celebra il 12 marzo.
Istituita dalla legge n.113 del 14 agosto 2020, la Giornata è stata indetta lo scorso anno da un decreto del ministero della Salute di concerto con i ministeri dell’Istruzione e dell’Università e Ricerca. Il 12 marzo vengono promosse iniziative di educazione e sensibilizzazione per diffondere la cultura del rispetto e la ferma condanna a ogni forma di violenza verso il personale sanitario.
Il 46% degli infortuni sul lavoro accertati dall’Inail e codificati come atti di violenza nei confronti del personale, è concentrato nel settore dell’assistenza sanitaria. Include ospedali, case di cura, istituti, cliniche e policlinici universitari. In particolare, il 28% si riscontra nei servizi di assistenza sociale residenziale. Parliamo di case di riposo, strutture di assistenza infermieristica e centri di accoglienza. Il restante 26% nel comparto assistenza sociale non residenziale.
Riguardo al genere, tre quarti delle aggressioni riconosciute dall’Inail riguardano donne. Il 64% di questi attacchi verbali e fisici avviene in ospedali e case di cura e l’80% nelle strutture di assistenza sociale, residenziale e non.
La professionalità nel mirino degli aggressori è quella dei tecnici della salute, in cui sono concentrati più di un terzo del totale dei casi. Si tratta di infermieri, ma anche di educatori professionali. Sono professionisti normalmente impegnati in servizi educativi e riabilitativi con minori, tossicodipendenti, alcolisti, carcerati, disabili, pazienti psichiatrici e anziani all’interno di strutture sanitarie o socioeducative.
Seguono, con il 25% dei casi, gli operatori sociosanitari delle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali. E con il 15% le professioni qualificate nei servizi personali ed assimilati, soprattutto operatori socioassistenziali e assistenti-accompagnatori per persone con disabilità. Più distaccata, con il 5% dei casi di aggressione in sanità, la categoria dei medici, che non include nell’obbligo assicurativo Inail i sanitari generici di base e i liberi professionisti.
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