Secondo un sondaggio di Senonetwork solo il 48% degli ospedali si è attrezzato per farli e garantire il rimborso delle analisi, nonostante sia stato stanziato un fondo da 20 milioni di euro. Europa Donna Italia chiede l’intervento della commissione LEA affinché tutte le donne italiane possano accedervi
Ritardi nell’applicazione della legge e differenze sostanziali tra le varie regioni, sono questi i limiti del provvedimento voluto dal Ministro Speranza sui test genomici gratuiti per le donne con tumore al seno che, a distanza di mesi dalla sua entrata in vigore – luglio 2021 – non riesce a decollare. Infatti, nonostante il decreto attuativo abbia previsto un fondo da 20 milioni di euro, ad oggi solo il 48% degli ospedali si è attrezzato per fare i test genomici e per garantire il rimborso delle analisi in grado di evitare trattamenti chemioterapici inappropriati nelle donne con tumore al seno in uno stadio iniziale.
A lanciare il grido di allarme è AIOM con Europa Donna Italia all’esito del sondaggio realizzato da Senonetwork, l’associazione di promozione sociale nata nel 2012 finalizzata alla tutela e al controllo delle patologie della mammella nel rispetto dei requisiti europei, al fine di garantire a tutte le donne italiane pari opportunità di cura.
Secondo i dati prodotti da Senonetwork nell’indagine che mirava a capire l’effettivo utilizzo dei test genomici e il relativo rimborso è emerso che se nel 73% dei centri di senologia è stato implementato l’utilizzo dei test genomici dopo il decreto attuativo ministeriale, un quarto delle strutture ancora resta fuori da questo processo. «Esiste una evidente eterogeneità dei test riconducibile ai diversi bandi di gara attuati dalle Regioni – ha spiegato Lucio Fortunato Membro del consiglio direttivo di Senonetwork e Direttore della Breast Unit dell’Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma –. Di conseguenza in molte aree del territorio nazionale le pazienti non possono accedere gratuitamente a queste analisi per ritardi nelle procedure applicative. Ciò ha fatto sì che il 39% dei centri non abbia potuto prescrivere il test a una o più pazienti idonee, che sono state sottoposte a chemioterapia adiuvante. L’Italia si è adeguata solo lo scorso anno all’utilizzo di queste analisi molecolari, consolidate nel resto d’Europa da almeno un decennio e ancora stiamo scontando un forte ritardo rispetto alle pratiche adottate in altri Paesi europei, come Germania, Regno Unito, Spagna e Grecia e alle indicazioni contenute nelle più importanti linee guida delle società scientifiche».
Dal sondaggio è emerso che solo il 30% dei centri di Senologia ha a disposizione i test genomici da più di un anno, mentre il 65% da meno di sei mesi. Per sbloccare la situazione, che risulta essere ferma in molti territori italiani, Europa Donna Italia, nella voce del suo Presidente, Rosanna D’Antona, ha chiesto che a porre fine all’agonia burocratica sia la Commissione LEA. «La persistente situazione di disparità nell’accesso ai test non è accettabile – ha dichiarato D’Antona –. Per questo con le altre 170 associazioni della rete Europa Donna Italia continuiamo l’azione di monitoraggio affinché tutte le donne italiane che hanno necessità possano accedervi e sia finalmente assicurata la possibilità di evitare cure aggressive e invalidanti. Non solo, la riduzione del ricorso alla chemioterapia comporterebbe significativi risparmi economici oltre che una migliore qualità della vita».
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