Cinquanta primari in età pensionabile si offrono di lavorare in forma gratuita altri due anni oltre il limite dei 70. Il Consiglio regionale del Lazio approva mozione sul tema. «La nostra permanenza può aiutare i reparti a smaltire gli arretrati e i nuovi giovani colleghi potranno giovarsi della vicinanza di questi esperti» spiega Nicola Mangialardi, primario di chirurgia cardiovascolare al San Camillo
“L’esperienza è una cosa che non puoi avere gratis” affermava, non senza ragione, lo scrittore Oscar Wilde. Provano a sovvertire questa massima 50 professori e primari della nostra sanità, che si sono messi a disposizione della collettività per lavorare in forma gratuita altri due anni oltre il limite dei 70 al servizio della sanità pubblica, pronti a dare una mano in un momento così delicato per il Servizio sanitario nazionale messo a dura prova dal Covid.
A guidare questo gruppo di scienziati è il professor Nicola Mangialardi, Primario di Chirurgia Vascolare all’Ospedale San Camillo-Forlanini Roma. Con lui tanti altri, tra cui Carlo Antona dell’Università di Milano, Michele Battaglia dell’Università di Bari, Francesco Musumeci del San Camillo di Roma, Giancarlo Palasciano dell’Università di Siena, Francesco Talarico dell’Ospedale Civico di Palermo.
«A spingerci a fare questo appello è quanto accaduto in questi due anni – spiega Nicola Mangialardi a Sanità Informazione -. È caduto il cielo sulla terra, il sistema sanitario è stato violentemente colpito da questa improvvisa, inattesa e catastrofica pandemia. Ci sono state delle scene che resteranno per sempre nella nostra memoria, situazioni quasi da guerra. Basta pensare alle immagini di quelle salme portate via da Bergamo».
L’idea sta già avendo i primi riscontri istituzionali: il Consiglio regionale del Lazio ha approvato all’unanimità una mozione che impegna la Giunta guidata da Nicola Zingaretti ad adoperarsi per questo risultato. E alcuni parlamentari hanno intenzione di presentare emendamenti in questa direzione nei prossimi provvedimenti in discussione.
Come hanno spiegato i 50 professori in una lettera a Repubblica, l’obiettivo è quello di arrivare ad un provvedimento ‘ad hoc’ valido fino al 2025 che consenta loro di dare volontariamente un aiuto rinunciando allo stipendio e ricevendo solo la pensione maturata al 7oesimo anno di età, quindi senza alcun aggravio per le casse dello Stato.
«La pandemia ha messo a dura prova il Servizio sanitario nazionale – continua Mangialardi -. Di fatto, l’attenzione della sanità è stata indirizzata quasi del tutto all’organizzazione per rispondere alla pandemia. Ma ci sono state tante patologie non infettive, come i tumori o le malattie cardiache e cardiovascolari, che sono state in qualche modo ‘sospese’ per dare priorità ai malati Covid».
Il tema delle prestazioni rinviate è centrale in questo momento, tanto che c’è chi ha parlato di ‘pandemia nella pandemia’, con gli ospedali che nelle prossime settimane potrebbero essere in difficoltà per recuperare le prestazioni non Covid: secondo i dati di Cittadinanzattiva sono 13 milioni le visite specialistiche sospese a causa del Covid-19, 300mila i ricoveri non effettuati, 500mila gli interventi chirurgici rimandati e ben 4 milioni gli screening oncologici posticipati.
«Da un lato – spiega Mangialardi – si è ridotta la capacità delle strutture ospedaliere di rispondere alle patologie non Covid che hanno finito per attrarre completamente non solo risorse umane ma anche risorse strutturali. I reparti sono stati rimodulati per l’accoglienza e la terapia dei pazienti Covid. Spesso è accaduto che gli infermieri che servivano per la cura dei reparti nelle varie specialità sono stati quasi totalmente impiegati per la cura dei pazienti con Covid».
Secondo Mangialardi l’esperienza di professionisti con alle spalle una lunga carriera nei reparti può essere di grande utilità anche ai tanti giovani medici e al personale sanitario entrato in servizio nel corso dell’emergenza. «Per due anni la gran parte delle specialità è rimasta in standby, così come gli specialisti – conclude il primario del San Camillo -. Quindi ci siamo posti con alcuni colleghi il problema se non offrire una disponibilità a restare per due anni. Possiamo dare un contributo importante per aiutare la ripartenza. Il Covid ha determinato un ritardo nella diagnosi e quindi nella cura di tante patologie, con conseguente aumento delle liste d’attesa e purtroppo anche dei tassi di mortalità. La nostra permanenza in servizio consentirebbe da un lato di recuperare i deficit assistenziali che si sono venuti a creare e dall’altro di accompagnare la formazione delle nuove leve».
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