Polarizzazione emotiva, aumento dei disturbi mentali, disinformazione deliberata. Un’analisi dei risvolti psicologici e comportamentali, sociali e individuali, a cavallo tra una pandemia globale e una possibile guerra mondiale. Intervista al professor Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta del Centro di Terapia Strategica
«Il prossimo premio Nobel per la medicina andrà a Vladimir Putin». A Vladimir Putin? Proprio lui? L’autoritario e spietato, ex spia del Kgb e attuale presidente a vita russo che ci ha spinto sull’orlo della terza (e se si arriverà ad usare le armi nucleari, probabilmente ultima) guerra mondiale? E perché dovrebbe succedere una cosa del genere? «Perché ha fatto sparire il Covid da un giorno all’altro». Beh, ineccepibile…
E a pensarci bene la battuta del professor Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta del Centro di Terapia Strategica, descrive egregiamente e in poche parole quel che sta accadendo da qualche settimana a questa parte: lo spazio dedicato alla pandemia nelle trasmissioni televisive, radiofoniche, sulla stampa e nei telegiornali si è ridotto drasticamente da quando i primi mezzi militari russi hanno varcato i confini ucraini. I virologi star sono stati soppiantati da esperti di geopolitica; in giro, nei bar o negli uffici, nelle cene tra amici o attorno al tavolo di casa, si parla quasi solo della guerra, del rischio nucleare o di quel “pazzo di Putin che vuole distruggere il mondo”. «E se solo fino a poche settimane fa la contrapposizione era tra no-vax e pro-vax – spiega ancora a Sanità Informazione il professor Nardone –, oggi l’opinione pubblica è polarizzata tra chi è pro-Nato e chi è pro-Russia».
Ed è proprio questo uno degli effetti psicologici collettivi, forse il primo e più importante, scatenati dall’inizio della guerra: la polarizzazione emotiva. «Reagiamo a ciò che sta avvenendo come tifoserie avverse. Solo che qui non ci giochiamo la finale della coppa dei campioni ma il rischio di una guerra senza ritorno». Una polarizzazione, «palesemente sproporzionata tra chi è contro l’invasione dell’Ucraina senza se e senza ma e chi cerca almeno di capire le ragioni che hanno spinto la Russia ad un gesto simile», che è «assolutamente sovrapponibile a quella che abbiamo avuto durante la pandemia, tra chi era a favore dei vaccini e chi, pur non essendo propriamente no-vax, poneva per lo meno qualche dubbio, predicava una sensata cautela».
Da un lato, dunque, abbiamo chi descrive Vladimir Putin «come criminale assassino, dittatore, invasore» e così via, dall’altro chi «si azzarda a dire qualcosa di differente e viene denunciato o aggredito». Insomma, chiunque non condanni espressamente e senza alcun distinguo l’invasione «viene automaticamente classificato come pro-Putin». Più che guerra mondiale, insomma, «siamo tornati alla guerra santa. Al medioevo».
Prova ne è che chiunque voglia alzare li dito per dire «sì, tutto corretto, però cerchiamo di capire anche per quale motivo c’è stata questa invasione», deve premettere che non è dalla parte di Putin e che condanna l’invasione di uno stato sovrano. «Anche io, ovviamente, sono assolutamente contrario a quanto sta facendo la Russia – spiega il professor Nardone –. Lo metto in chiaro perché altrimenti si viene subito etichettati come filo-russi, come chi esprimeva dubbi sui vaccini e diveniva automaticamente un no-vax». Ma non c’è niente di cui stupirsi, in quanto questa dinamica «si verifica ogni volta che si esplodono crisi o guerre. È sempre stato così. Il problema, però, è che, come diceva Benjamin Franklin: “È esperienza nota che gli esseri umani non imparano dall’esperienza”. Commettiamo sempre gli stessi errori». Tutto ciò va di pari passo con l’infodemia: «Non si parla d’altro. C’è un’eccessiva socializzazione dell’argomento, che ovviamente ha innescato una paura non individuale ma sociale».
Tutto ciò per quanto riguarda il lato sociale dell’esperienza e dell’elaborazione della guerra. Passando sul piano individuale, secondo Nardone «si comincia ad osservare un aumento delle persone afflitte da crisi di panico e da angoscia a causa della guerra. Così come già avvenuto due anni fa con l’inizio della pandemia, notiamo come stiano aumentando i comportamenti irrazionali delle persone». Un esempio? «L’approvvigionamento di beni di prima necessità. Il problema, però, è che le persone vogliono correre ai ripari prendendo precauzioni che non sono precauzioni. Si tratta quasi di un rituale propiziatorio». I soggetti che vanno in «crisi fobica» aumentano a dismisura, come «se fossero contagiati da un virus». Non più il Sars-CoV-2 ma «la paura sociale di quel che potrebbe accadere».
E questa “pandemia” porta, sul piano psicologico e psicopatologico, un effetto ben noto agli addetti ai lavori ma sconosciuto ai più: «Nelle situazioni di crisi derivanti da un qualcosa che non possiamo controllare, la mente di persone che hanno avuto, o che hanno ancora, problemi e disturbi, si rifugia in essi». In pratica, di fronte ad un’angoscia sconosciuta, si attiva un meccanismo mentale che riacutizza ed esaspera «comportamenti ossessivi, compulsivi, paranoici e così via. Problematiche non direttamente connesse alla guerra ma che diventano un espediente che la mente utilizza per spostare l’attenzione da una sofferenza più grande e sconosciuta ad una più familiare». Riaffiorano dunque disagi che consentono alla mente di «non essere completamente travolta e questo causa un dilagare, come se non bastassero gli effetti della pandemia, di disturbi di vario genere che servono solo a compensare quella paura».
Si assiste dunque all’aumento di una serie di patologie «come i disturbi ossessivo compulsivi, i disordini alimentari, le fughe compensatorie nei mondi artificiali». Una nuova ondata di disturbi che si aggiunge «alla gigantesca ondata che abbiamo avuto con il Covid, con reazioni molto simili in entrambi i casi, ma con la differenza che, in quest’ultimo, dietro c’è l’uomo cattivo che vuole distruggere il mondo. Si tratta di un’angoscia per certi aspetti più realistica perché si ha paura di un aggressore vero, fisico».
Leggendo gli articoli di questi giorni e seguendo trasmissioni televisive completamente dedicate all’argomento, potrebbe venire il dubbio che esista una curiosa correlazione tra chi in questi anni ha contestato qualsiasi misura restrittiva volta alla limitazione della circolazione del Covid (chi parlava di “dittatura sanitaria”, in pratica) e chi è dalla parte di Putin e della Russia (che, come sappiamo, non è esattamente un luogo libero, come testimoniano le migliaia di arresti durante le manifestazioni a favore della pace).
Secondo il professor Nardone, però, qui ci troviamo di fronte ad una «disinformazione deliberata. L’associazione tra i no-vax e i pro-Putin nasce da un tentativo manipolatorio dell’informazione per screditare ancora di più le persone che non sono dalla parte dei “Crociati”. Anche quando si parlava dei vaccini, diverse persone illuminate avanzavano dei dubbi realistici. Non si può dire fossero no-vax, ma come tali venivano etichettati. Stessa cosa accade oggi su chiunque avanzi dubbi sul comportamento della Nato. Eppure, uno dei consiglieri di Biden ha dichiarato che “se spingi la tigre all’angolo, alla fine questa non può far altro che aggredirti”. Se qualcuno da noi dice una cosa del genere diventa però subito favorevole all’invasione russa».
Fatta esclusione delle posizioni critiche, ma comunque sensate, rispetto alla narrazione comunemente accettata (quelle necessarie in un dibattito per arrivare ad una sintesi), è però indubbio che esista una categoria di persone che sostiene sempre e comunque, molto spesso senza avere le informazioni e le conoscenze necessarie per farlo, l’antitesi in contrapposizione a qualsivoglia tesi. «Il complottista, tendenzialmente, soffre di un disturbo di personalità paranoico: deve sempre trovare un qualcosa di misterioso, di maligno, di non detto. Per questo assume sempre la posizione contraria a quella “ufficiale”». Ovvero al mainstream (come lo chiamano loro). «Ovvio che una situazione come questa scateni i fanatici che cercano in ogni avvenimento un complotto mondiale. Possiamo parlare di complottismo ideologico, un po’ diverso da quello che abbiamo avuto con il Covid. Lì si parlava più di Big Pharma, segreti mondiali, interessi economici e così via. Qui il tema è più che altro ideologico: un misto di nostalgia di alcuni nei confronti di quel che era il blocco sovietico e di avversione per tutto quel che l’America fa». Anche qui, secondo Nardone possiamo parlare di polarizzazione, più che di complottismo.
Insomma, se per farci forza durante la pandemia continuavamo a dirci che ne saremmo usciti migliori, lo scoppio di una guerra (potenzialmente mondiale e nucleare) a due passi da casa nostra, proprio nel momento in cui nel nostro Paese siamo passati da uno stato d’emergenza all’altro, possiamo forse concludere che no, non ne siamo usciti migliori. Oppure: «I migliori sono migliorati e i peggiori sono peggiorati. Il problema – conclude il professor Nardone – è che nel mondo sono più numerosi i peggiori che i migliori».
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