La sentenza 9010/2022 della Cassazione esclude il danno parentale dopo aver accertato che tra i due coniugi fosse venuta meno l’intensità del legame. La Corte d’Appello ora dovrà riesaminare il caso che aveva portato ad un risarcimento di oltre 260mila euro
Con il marito la storia era finita, alla vedova non spetta il risarcimento per responsabilità medica. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 9010/2022, creando così un precedente destinato a far giurisprudenza negli episodi di malpractice (e crisi coniugali).
Secondo i giudici della Suprema Corte il risarcimento del danno da responsabilità medica spetta infatti a quei soggetti legati da un vincolo intenso con il defunto, che nel caso in oggetto non ha però trovato solidi riscontri. È stato infatti accertato che l’uomo avesse da tempo una relazione extraconiugale mentre la donna, poco dopo il decesso del marito, si era riaccompagnata con un altro uomo da cui aveva avuto anche un figlio. Ulteriore indizio del fatto che tra i due non ci fossero ormai più rapporti il fatto che la donna non sia riuscita a fornire la residenza del marito.
Ma andiamo alla vicenda giudiziaria. In primo grado la vedova aveva ottenuto 280mila euro per i danni derivanti appunto da responsabilità medica. La sentenza era stata in parte poi riformata in Appello con una quantificazione di circa 260mila euro del risarcimento. L’Asl di competenza aveva allora portato la questione all’attenzione degli ermellini ponendo due motivi di doglianza: il fatto che il paziente non si fosse presentato alla visita di controllo prevista dopo tre giorni dall’intervento che ne avrebbe poi causato il decesso e, in secondo luogo, l’insussistenza di rapporti tale da giustificare il riconoscimento risarcitorio per danno parentale.
Il primo motivo è stato rigettato dalla Suprema Corte perché, come era già emerso in Appello, con la CTU era stata già escluso il nesso causale tra la mancata presentazione del paziente alla vista post operatoria con il suo decesso. Quella visita infatti non sarebbe stata sufficiente ad indagare le cause dell’infiammazione trattata e sarebbero serviti esami diagnostici maggiormente approfonditi.
Sulla seconda doglianza, invece, la Corte ha giudicato fondato il ricorso per il venir meno dell’intensità del vincolo affettivo proprio per i chiari indizi emersi in relazione ai rapporti tra i due coniugi. La Cassazione ha anche ricordato che, anche in casi come quello in oggetto, non si esclude un risarcimento in favore del coniuge separato, a patto che si possa dimostrare un legame affettivo ancora significativo anche al di fuori della convivenza. Fattispecie che, come rilevato dall’Asl ricorrente, non era ravvisabile in questa particolare vicenda.
In conclusione, dunque, la decisione è stata cassata e la questione è tornata all’attenzione della Corte d’Appello.
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