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La prevalenza è di circa l’1% della popolazione, in Italia un bambino ogni 77. Lo specialista: «Tra i 12 e i 18 mesi si può sospettare la presenza di un rischio per l’autismo. Una diagnosi vera è propria è possibile dal secondo anno. Ma le più recenti stime indicano che non arriva prima dei 4 anni»
Il 2 aprile è la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo (World Autism Awareness Day, WAAD). La ricorrenza, istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU, richiama l’attenzione sul disturbo dello spettro autistico, dalla diagnosi ai trattamenti, e sui diritti delle persone con autismo.
«Il disturbo dello spettro autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD) è un insieme eterogeneo di disturbi del neuro sviluppo. Si manifesta attraverso una compromissione qualitativa nelle aree che riguardano l’interazione sociale e la comunicazione, associata a modelli ripetitivi e ristretti di comportamenti, interessi e attività – spiega Giovanni Valeri, responsabile dell’Unità Operativa per i Disturbi dello Spettro Autistico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma -. I sintomi possono variare per tipologia e gravità da persona a persona, facendo mutare di conseguenza anche i bisogni specifici e la necessità di sostegno. L’utilizzo del termine “spettro” deriva proprio dalla variabilità delle condizioni che possono essere lievi, medie o gravi. E differenziarsi anche per un’eventuale compromissione delle funzioni cognitive e linguistiche (circa il 40% dei pazienti autistici ha una disabilità intellettiva).
È presente in circa l’1% della popolazione. «Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico in Italia, la prevalenza tra i bambini di otto anni è di un caso ogni 77, con una presenza maggiore nei maschi, che sono colpiti 4,4 volte in più rispetto alle femmine. Negli USA il rapporto è di un bambino ogni 54». Questi disturbi appaiono meno diffusi in Danimarca e Svezia, dove la prevalenza è di un bimbo ogni 160 e in Gran Bretagna (1 su 86).
«Pur essendo auspicabile diagnosticare la presenza del disturbo il prima possibile, attualmente, le conoscenze scientifiche di cui disponiamo, ci consentono di sospettarne la presenza tra il 12esimo e il 18esimo mese di vita – sottolinea Valeri -. Una diagnosi vera è propria è possibile al compimento del secondo anno. Purtroppo, però, consultando le più recenti stime, indicano in 4 anni l’età media della diagnosi. E si deduce che c’è ancora tanta strada da fare per garantire un precoce riconoscimento dei sintomi ed un intervento altrettanto tempestivo».
Le attuali linee guida per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico approvate dall’ISS nel 2011 indicano quattro tipologie di interventi. Tutti raccomandati o consigliati sulla base di evidenze scientifiche. «Tra questi, due sono senza dubbio quelli, finora, ritenuti più efficaci – spiega il responsabile dell’Unità Operativa per i Disturbi dello Spettro Autistico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma -. Innanzitutto, gli interventi di terapia mediati dai genitori, ovvero trattamenti in cui il terapeuta opera in sinergia con i genitori e con il bambino per promuovere le competenze sociocomunicative del paziente, attraverso il miglioramento delle modalità di interazione. Poi, ci sono interventi che prevedono l’utilizzo delle terapie comportamentali (attualmente distinte in interventi “comportamentali strutturati” e interventi “comportamentali evolutivi naturalistici”). Ancora, trattamenti di supporto alla comunicazione attraverso l’uso sistematico degli ausili visivi e della comunicazione aumentativa alternativa e, infine – conclude Valeri – interventi volti alla strutturazione dell’ambiente, al fine di creare spazi di vita quotidiana che abbiano coordinate spazio-temporali comprensibili e prevedibili per la persona con autismo».
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