Berardi (AIOM): «Fondamentale abbattere il gap comunicativo operatore – paziente e aumentare la consapevolezza sull’importanza di informare correttamente»
I pazienti oncologici in trattamento sono più vulnerabili rispetto alle fake news, soprattutto quelle relative al Covid-19 e in particolar modo quelle diffuse dai social, rispetto a coloro che hanno superato la malattia e sono in follow up. È il dato che emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Patient Education and Counseling, che ha approfondito proprio la relazione tra la disinformazione in era Covid-19 e le persone che combattono contro il cancro.
Un gap di comunicazione che coinvolge anche gli operatori sanitari, i giornalisti, e tutti gli attori coinvolti nei processi di informazione e divulgazione in materia di salute verso i pazienti e i cittadini, come emerge da un ulteriore studio promosso dall’Università Politecnica delle Marche. Nello stesso Ateneo, a giugno, partirà il primo corso di perfezionamento universitario intitolato “Comunicare il cancro, la medicina e la salute”, con l’obiettivo di implementare la formazione in ambito comunicativo allo scopo di fornire ai pazienti informazioni corrette attraverso modalità che facilitino anche l’instaurarsi di un rapporto positivo con il proprio medico curante, aumentando di pari passo la compliance rispetto ai percorsi terapeutici.
Di tutti questi aspetti abbiamo parlato con la professoressa Rossana Berardi, Ordinario di Oncologia Medica all’Università Politecnica delle Marche, direttore della Clinica Oncologica Ospedali Riuniti di Ancona e membro del Direttivo Nazionale AIOM.
«La comunicazione è stato sempre stato un asset fondamentale per l’oncologia, una branca caratterizzata dall’estrema fragilità dei pazienti – sottolinea Berardi – e dall’importanza di fornire informazioni corrette. Sicuramente la pandemia ha amplificato l’importanza di una comunicazione di qualità, in tutto l’ambito della salute.
Questo bisogno di acquisire modalità di comunicazione più efficaci, come evidenziatoci dagli operatori sanitari stessi, ci ha spinto a ideare un percorso accademico di perfezionamento in tal senso. Il corso – aggiunge – è rivolto non solo agli operatori sanitari ma anche ai giornalisti e agli specialisti dei social network, così da andare a coprire tutti i canali di comunicazione, non solo verso i pazienti ma verso i cittadini in generale veicolando informazioni non fuorvianti».
«È fondamentale avere conoscenza dei social, imparandone le regole, le metriche e i possibili utilizzi a seconda del target di riferimento – afferma Berardi – perché è chiaro che i vari social impattano diversamente tra le fasce di popolazione. Per quanto riguarda il paziente, abbiamo visto che Facebook permette un’azione molto importante e più efficace di altri social rispetto alla divulgazione e all’identificazione di uno specifico target, cioè le associazioni di pazienti e le associazioni di volontariato, da coinvolgere in determinate esperienze, eventi, e contenuti. Se invece vogliamo incidere sui più giovani – osserva la professoressa – sia in ambito di prevenzione sia per quelli che sono già in trattamento, sono altri i social di riferimento».
«Il 25% dei pazienti percepisce la cura come tecnica, tecnologia e farmacologia usata nel trattamento, mentre per il 75% dei pazienti la cura viene interpretata in termini di relazioni autentiche – spiega Berardi – dal tipo di comunicazione al rapporto di alleanza e di fiducia con il proprio oncologo. Sebbene non esistano dati scientifici che affermino che comunicare bene incida sulla prognosi in modo diretto – osserva – possiamo però affermare che una buona comunicazione aumenta l’aderenza al percorso di cure da parte del paziente implementandone la tollerabilità e quindi anche l’efficacia.
In questo senso è evidente un legame potente tra lo strumento comunicativo e i processi di cura e guarigione. E questo dobbiamo pensarlo anche in termini di prevenzione: campagne educazionali corrette fanno sì che le persone aderiscano più volentieri ai programmi di screening, e sappiamo che questo abbassa i livelli di mortalità favorendo la diagnosi precoce, così come il successo delle campagne di informazione per la vaccinazione anti HPV contribuisce ad abbattere la mortalità per cancro della cervice. In questo senso – conclude la professoressa Berardi – possiamo ben dire che la comunicazione è una forma di cura».
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