L’eurodeputata è uno dei 38 membri della commissione speciale che dovrà esaminare cosa ha funzionato e cosa è andato storto nella gestione del Covid a livello europeo. Entro 12 mesi sarà elaborata una relazione
Preparare l’Unione europea a rispondere in maniera efficace ad eventuali future crisi sanitarie. È questo l’obiettivo della Commissione sulla pandemia Covid-19 istituita dal Parlamento di Strasburgo, composta da 38 membri, con un mandato di 12 mesi al termine dei quali sarà presentata al Parlamento una relazione con raccomandazioni sulle azioni o le iniziative da intraprendere.
Ne abbiamo parlato con uno dei suoi membri, la parlamentare europea di Forza Italia Luisa Regimenti, medico legale ed esperta di temi sanitari. «L’obiettivo è fare un passo in avanti verso una maggiore collaborazione sanitaria dei Paesi membri e lavorare per la piena realizzazione dell’“Unione europea della Salute”», spiega Regimenti a Sanità Informazione. L’emergenza Covid, del resto, ha trovato impreparati sia gli Stati nazionali che le istituzioni comunitarie e, soprattutto in una prima fase, è mancata una risposta coordinata. «Un esempio è stata la mancanza di coordinamento tra le norme di spostamento tra i paesi europei, in Italia addirittura tra Regioni, lasciando molto spesso i cittadini senza norme chiare da seguire» spiega l’eurodeputata azzurra.
«Una Commissione speciale sulla pandemia era assolutamente necessaria. È dall’inizio della crisi pandemica che auspico la creazione di un tale organismo. La Commissione, per esteso “Commissione sulla pandemia Covid-19: lezioni apprese e raccomandazioni per il futuro”, esaminerà la risposta europea alla pandemia nei settori della salute, della democrazia, dei diritti fondamentali, ma anche dell’economia, della società e delle relazioni geopolitiche e globali dell’UE. Il lavoro che porterò avanti sarà volto all’analisi degli errori commessi e delle vittorie ottenute nella gestione della pandemia, e alla delineazione di raccomandazioni basate sugli insegnamenti appresi, con l’obiettivo di preparare l’Unione europea a rispondere in maniera efficace ad eventuali future crisi sanitarie. Io sono una dei 38 membri che siederanno in Commissione e lavorerò a stretto contatto con loro per 12 mesi al fine di elaborare raccomandazioni che siano specifiche, comprensive ed esaustive, con l’obiettivo di fare un passo in avanti verso una maggiore collaborazione sanitaria dei Paesi Membri e lavorare per la piena realizzazione dell’“Unione europea della Salute”».
«La pandemia ci ha colto certamente di sorpresa, sia sul piano nazionale che su quello europeo. Il più importante insegnamento che abbiamo appreso è che gli Stati nazionali, sul piano sanitario, non sono certamente autonomi e che lavorare “in squadra” è sicuramente più efficiente e porta a risultati migliori. La perplessità dei Paesi nel condividere l’acquisto dei vaccini, allo scoppio della pandemia, ad esempio, era comprensibile e l’impreparazione della Commissione di fronte ad un tale evento, sconosciuto nell’era moderna ed imprevedibile negli sviluppi, ha sicuramente portato le istituzioni a commettere alcuni errori. Un esempio è stata la mancanza di coordinamento tra le norme di spostamento tra i paesi europei, in Italia addirittura tra Regioni, che ha limitato la crescita del settore turistico subito dopo la pandemia, lasciando molto spesso i cittadini senza norme chiare da seguire. Questo certamente ha generato confusione e ha portato, nel pieno dell’emergenza, a mettere in discussione l’affidabilità delle istituzioni. La situazione ora è, però, completamente cambiata: l’allineamento delle norme sul piano europeo, il coordinamento e la maggiore collaborazione tra i paesi UE, hanno consentito anche alle istituzioni di poter agire con maggiore fermezza e consapevolezza, anche alla luce della gestione dei fondi europei arrivati nel nostro Paese e che contribuiscono al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza».
«Le tematiche attinenti alla salute stanno acquisendo sempre maggiore centralità nel dibattito europeo e all’interno del lavoro tecnico delle Istituzioni. Questo non è per nulla scontato. Fino a qualche anno fa la sanità era ritenuta di completo appannaggio degli Stati nazionali e questi ultimi custodivano gelosamente le redini dei loro sistemi sanitari. Di recente, invece, il passo in avanti è stato compiuto grazie, o per meglio dire, a causa della pandemia da Covid-19. Come diceva bene, la sanità, secondo i trattati europei, non è una competenza legislativa propriamente spettante all’UE. Tuttavia, già dalle prime problematiche sorte con lo scoppio della pandemia l’Unione europea ha preso coscienza dell’impossibilità di procedere individualmente su tematiche come queste, soprattutto durante crisi sanitarie gravi come quella che abbiamo vissuto in questi anni. Penso alle problematiche derivanti dalla mancanza di dispositivi medici in alcuni stati e sovrabbondanza in altri, ad esempio. Il modello unitario di approvvigionamento di vaccini, del quale parlavamo prima, ha dimostrato l’importanza di un’azione congiunta europea, sia in termini di efficacia, che di tempistiche e, non da ultimo, di prezzi».
«Proprio questa settimana il Parlamento europeo ha parlato estensivamente della situazione, nella sessione plenaria di Strasburgo. Credo che, in primo luogo, debba essere evitata una tragedia nella tragedia, salvando i bambini e la popolazione più vulnerabile da questo terribile conflitto. Dobbiamo garantire corridoi umanitari sicuri, che consentano ai civili di lasciare il paese velocemente. Le condizioni igienico-sanitarie in Ucraina sono ormai arrivate allo stremo, anche a causa dei bombardamenti su infrastrutture civili, come gli ospedali. Nel paese mancano acqua, cibo ed elettricità, ma soprattutto farmaci essenziali e cure mediche. La Croce Rossa italiana ha dichiarato che sono più di 18 milioni le persone che necessitano di assistenza umanitaria nel paese ma i continui bombardamenti non consentono un adeguato dispiegamento di volontari e associazioni che portino beni di prima necessità alla popolazione ucraina rimasta nel paese. Sin dall’inizio del conflitto ci siamo mobilitati anche per accogliere i minori, gli anziani e i degenti, che devono però essere raccolti in appositi centri di accoglienza, censiti e affidati a mani sicure, per evitare, soprattutto per quanto riguarda i minori non accompagnati, che sciacalli si impossessino di loro per scopi tutt’altro che umanitari».
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