Un cardiologo italiano a Londra racconta come viene affrontata la nuova variante: «È più contagiosa di Omicron, ma simile ad una influenza. Obiettivo arrivare ad avere una immunità di gregge e convivere con il virus»
Mentre in Italia si discute sull’utilità o meno della mascherina e gli stessi virologi si dividono, arriva Xe la variante ricombinata che ha unito in sé parti di Omicron Ba1 e Omicron Ba2. Per ora sono stati registrati pochi casi, ma osservando l’andamento dell’Inghilterra, paese in cui è stata scoperta, è immaginabile che tra poche settimane anche nel nostro paese sarà la variante prevalente.
Proprio in Inghilterra viaggia veloce, eppure non sembra fare paura. Gli inglesi mantengono la linea del “liberi tutti”, come se il Covid fosse solo un lontano ricordo e scelgono di convivere con la nuova variante. Una decisione che ci spiega Francesco Lo Giudice, cardiologo italiano da cinque anni all’Hammersmith Hospital di Londra. «Della variante Xe non si parla molto – ammette –. In Gran Bretagna sono cadute tutte le restrizioni, non si utilizzano più le mascherine, al chiuso e sui mezzi pubblici, anche se è fortemente consigliato, mentre permane l’obbligo negli ambienti sanitari: ospedali e ambulatori».
Una decisione che vira verso una convivenza con il virus tanto che anche i test che venivano fatti gratuitamente a tutti non sono più previsti. «L’Inghilterra è stato il paese che al mondo ha testato di più la popolazione – spiega Lo Giudice – ora quella spesa non è più giustificabile, anche se l’istituto di statistica continua a tenere sotto controllo l’incidenza del virus con dei test random alla popolazione soprattutto per conoscere nuove possibili varianti».
Una scelta sposata dalle istituzioni, condivisa dai cittadini e sostenuta dai medici che monitorano la situazione negli ospedali. «Finché la situazione è sotto controllo in termini di ospedalizzazioni non si cambia strategia – aggiunge -. Gli ultimi dati pubblicati dalla mia azienda mostrano che dei quasi 150 pazienti ricoverati, 11 sono in terapia intensiva e sette con necessità di ventilazione invasiva. Anche dando uno sguardo ai numeri complessivi su 20 mila persone ricoverate che risultano essere positive al Covid, la maggior parte sono in ospedale per altri motivi e solo il 2 percento sono in terapia intensiva. Questo significa che oggi il virus è meno pericoloso, le forme gravi sono poche, anche se c’è lo stesso numero di casi di gennaio».
Le intenzioni, dunque, sono quelle di gestire la nuova variante come una normale influenza, monitorando i sintomi. L’agenzia sanitaria inglese, a tal proposito, a due anni dall’inizio della pandemia ha aggiornato la lista ufficiale aggiungendo nove nuovi segnali d’allerta che potrebbero rilevare il contagio: oltre ai già noti perdita di gusto e olfatto sono stati aggiunti fiato corto, mal di gola, stanchezza persistente, corpo dolorante, mal di testa, naso chiuso che cola, perdita di appetito, diarrea, rash cutanei. «Chi ha sintomi riconducibili al Covid deve restare a casa e chi risulta positivo ma senza sintomi non ha neppure l’obbligo di farlo, anche se è consigliato – aggiunge il cardiologo italiano -. Siamo di fronte ad una influenza, più contagiosa, ma con effetti meno gravi delle precedenti varianti, grazie ai vaccini che non riducono il contagio, ma le forme gravi sì. L’obiettivo è arrivare ad avere una immunità di gregge tale per cui saremo in grado di convivere con il virus e le sue varianti».
Se nella maggior parte dei casi la variante Xe è riconducibile ad una influenza, secondo studi inglesi esistono due nuovi sintomi da non sottovalutare: spalla congelata e lividi. La sindrome della spalla congelata, chiamata anche Frozen Shoulder o capsulite adesiva, è una patologia della spalla che provoca dolore e rigidità. Si verifica in circa il 2% della popolazione e interessa soprattutto la fascia di età tra i 40 e i 60 anni, in particolare donne.
Questo disturbo sembra essere aumentato negli ultimi mesi e siccome ha una origine infiammatoria, – provoca borsiti, tendiniti, artrite reumatoide – è stato ricondotto al Covid che, è risaputo, provoca una tempesta di citochine e un’infiammazione multi-sistemica. Nel secondo caso gli scienziati hanno rivolto la loro attenzione su macchie rosse comparse sui bambini simili a lividi causati dall’emorragia di piccoli vasi sanguigni sottopelle riconducibili anche in questo caso al Covid. Episodi analoghi sono stati riscontrati anche in Portogallo, mentre è in crescita il numero degli adulti che lamenta eruzioni cutanee simili ad orticaria in aree piccole su qualsiasi parte del corpo, ma le più comuni sono su mani, piedi e gomiti.
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