Ecco dove nasce e come si sviluppa la mente di un assassino, Petrillo (criminologa): «Traumi alla corteccia cerebrale, alterazioni ormonali e fattori ambientali tra le principali cause scatenanti». Le evidenze più recenti arrivano dagli studi di genetica del comportamento criminale
Criminali si nasce o si diventa? È questa la domanda a cui, da decenni, studiosi di tutto il mondo, tentano di dare una risposta esaustiva. «Più di recente, soprattutto attraverso la genetica del comportamento criminale, una disciplina relativamente nuova che studia l’influenza dei fattori ereditari sul comportamento degli esseri viventi, utilizzando metodi che derivano dalla biologia, oltre che dalla psicologia», spiega Mary Petrillo, psicologa forense e investigativa criminologa e docente di criminologia.
Mary Petrillo, raccogliendo le ricerche più autorevoli in materia nel suo libro “La genetica criminale”, è giunta alla conclusione che sia i fattori genetici che quelli ambientali possano predisporre un individuo al comportamento criminale. «È stato osservato, anche se non in una percentuale particolarmente rilevante di criminali, che traumi alla corteccia cerebrale, dovuti ad esempio ad un incidente, possono rendere un soggetto più violento e aggressivo. Altri studi, invece, hanno mostrato una più evidente correlazione tra alcuni tipi di ormoni, sostanze che troviamo pure in diversi cibi, e il comportamento criminale. La MAO-A e il triptofano sono due esempi di evidente rilevanza scientifica», aggiunge la specialista.
Le MAO-A sono deputate al metabolismo della noradrenalina, serotonina e adrenalina. La loro azione è fondamentale per il sistema nervoso centrale, tanto che valori anomali sono associati a vari disturbi psichiatrici, come la depressione, le fobie sociali e il comportamento antisociale, disturbo frequente tra i criminali. Il triptofano, invece, è un aminoacido presente in molte proteine di origine animale e vegetale, essenziale all’organismo umano. È il precursore della serotonina, ormone che agisce come neurotrasmettitore, controlla l’umore a livello cerebrale e provoca il restringimento dei vasi sanguigni.
Anche la cultura influenza il comportamento degli individui, alla stessa stregua della natura. «Dai principali studi sul comportamento criminale è emerso che anche l’ambiente in cui si nasce, si cresce e si vive, svolge un ruolo fondamentale. Tuttavia – sottolinea Petrillo -, non può rappresentarne la causa esclusiva. La dimostrazione, fortunatamente, è nei fatti: non tutti coloro che nascono e crescono in ambienti disagiati, sono poi inclini alla violenza».
Anche la presenza di disturbi psicopatologici o di patologie psichiatriche possono rappresentare importanti campanelli di allarme per l’individuazione di soggetti potenzialmente inclini ad atti di violenza. «Molti criminali, assassini compresi, sono psicopatici privi di emozioni, malati, ma non giuridicamente infermi di mente. Chi, come il soggetto psicopatico, non è in grado di provare emozioni, né di riconoscerle, sarà privo di moralità e, di conseguenza, incapace di discernere il bene dal male».
«Il crimine, l’atto violento è solo il culmine, il gesto estremo, di un pensiero già maturato»: Mary Petrillo non crede che un omicidio possa essere commesso in preda ad un raptus, ad un impulso improvviso. «La violenza scaricata in un unico gesto brutale si è prima fatta spazio nella mente dell’individuo che l’ha commesso, poi è stata esternalizzata nel luogo e nel momento che il criminale in questione ha ritenuto giusti, adeguati, ideali», commenta la psicologa forense.
Criminali, dunque, si nasce e si diventa. Ma si tratta di una condizione irreversibile o è possibile “guarire”? «Le terapie, a base di farmaci e psicoterapia, possono contenere i comportamenti violenti di questi soggetti ma, nella maggior parte dei casi, non offrono mai una cura definitiva – dice Petrillo -. Esistono poche eccezioni: è il caso, ad esempio, di coloro che hanno privato della vita una persona molto cara in preda a sofferenze atroci. Ecco, chi ha commesso un gesto estremo, come quello dell’omicidio, in situazioni del tutto eccezionali, è senza dubbio un soggetto che ha buone speranze di poter essere adeguatamente riabilitato».
Sono ancora molti i dubbi che gli studiosi di psicogenetica comportamentale del criminale dovranno chiarire nel prossimo futuro: questa materia è tuttora un libro aperto, al quale ogni giorno vengono aggiunte nuove pagine. «Ma attenzione a farne buon uso – avverte la psicologa forense -. La correlazione tra genetica e comportamento criminale potrebbe essere utilizzata in tribunale per evitare una condanna. Ma – conclude la criminologa – affermare che il criminale potrebbe avere una predisposizione genetica non equivale a sancire l’infermità mentale dell’individuo in questione.
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