Il fenomeno studiato dai ricercatori ha cause emotive e cognitive. Lo psicologo Orakian: «Tra assuefazione e alert continuo, il cervello sceglie la via dell’evitamento»
Bersagliati costantemente da notizie monotematiche, prima sulla pandemia, poi sulla guerra, dopo due anni gli italiani (e non solo) staccano la spina e smettono di informarsi. Ciò accade in base a un meccanismo di “elusione informativa”, infatti, che scatta quando il nostro cervello si stanca di recepire input ridondanti rispetto a determinate tematiche oggettivamente negative, e ci spinge ad evitarle.
Rifiutarsi quindi di leggere notizie sui quotidiani e cambiare canale durante i telegiornali, sono dinamiche studiate da tempo dai ricercatori, e che percorrono un doppio binario: quello del rifiuto emotivo e del rifiuto cognitivo, spesso coesistenti. Sul tema Sanità Informazione ha intervistato lo psicologo e psicoterapeuta Morris Orakian, coordinatore del Network territoriale presso l’Ordine Psicologi del Lazio.
«Se è vero che il restare informati su determinate materie viene percepito come una sorta di dovere – afferma Orakian – sia per motivi di solidarietà (se parliamo di pandemia e di guerra) sia per esercitare una forma di controllo su quanto avviene e proteggersi di conseguenza, è altrettanto vero che ad un certo punto scattano dei meccanismi di saturazione verso uno stimolo esterno (in questo caso l’oggetto dell’informazione) che portano a disconnettersi da quello stesso stimolo. Un cervello sottoposto a continui stimoli informativi di natura dolorosa – spiega – può seguire due strade: l’assuefazione, che porta quindi a non essere più scioccato da determinate notizie, o al contrario subire un continuo stato di alert che porta a uno stress via via sempre meno sopportabile. Questo è un processo di polarizzazione emotiva, sovrapponibile a ciò che accade a chi vive, ad esempio, in contesti familiari difficili segnati da abusi e maltrattamenti: in genere questi soggetti o diventano totalmente impassibili a contesti e situazioni violente, o al contrario sviluppano una ipersensibilità a qualsiasi fenomeno di violenza, rifuggendoli completamente».
Alla base del “rifiuto informativo” ci sarebbero complessi fattori di tipo cognitivo ed emotivo, come sottolineato da uno studio multidisciplinare condotto dall’Università di Jyvaskyla in Finlandia, insieme all’Università ebraica di Gerusalemme in Israele e alla Northwestern University negli Stati Uniti. I risultati sono descritti in un approfondito articolo di ricerca dal titolo “Taking a Break from News” pubblicato sulla rivista Digital Journalism. «La parte più giovane del nostro cervello, quella deputata al raziocinio, opera nel mediare tutte le informazioni che arrivano ai nostri sensi – spiega Orakian -. Quando siamo esposti così intensamente a questo tipo di stimoli affiorano invece le reazioni paleoencefaliche, quelle degli stimoli emotivi. La parte che governa i processi razionali e quella che governa i processi emotivi integrano e bilanciano una struttura che ci consente di rimanere in equilibrio psichico. L’elusione cognitiva, quindi, non può essere scorporata dall’elusione emotiva – sottolinea – ma può essere una cartina al tornasole del livello di tolleranza a quella stessa emozione: tanto più la parte emotiva ci spinge a compiere un’azione o ad evitarla, tanto più sarà difficile “convincere” la parte cognitiva a fare il contrario».
Un dato importante, secondo i ricercatori, è che il fenomeno di elusione delle notizie non è ascrivibile solo a ragioni personali, ma assume connotati diversi anche in base ai contesti temporali e socioculturali. «Al di là di quello che può essere il vissuto esperienziale soggettivo di ogni singola persona – spiega Orakian – il contesto socioeconomico e culturale dà un quadro di lettura più ampio e quindi relativamente più semplice, impattando decisamente nella percezione del dramma e del pericolo. Sicuramente non eravamo più abituati a sentire la guerra così pericolosamente vicina né immaginavamo di doverci rinchiudere in casa per mesi a causa di una pandemia. L’elusione in questo caso è anche una mancata accettazione di ciò che accade realmente, finché il vissuto non torna ad essere quello più o meno atteso. Insomma – conclude – se il coinvolgimento emotivo porta all’elaborazione di strategie di copying che indicano come affrontare una data situazione, l’elusione è un atteggiamento di difesa che può andar bene a breve termine ma totalmente inutile sul lungo periodo».
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