Il contagiato è un bambino cinese che vive in una comunità rurale. «Salto di specie più probabile in contesti di promiscuità uomo-animali. Non è il caso dell’Italia»
È stato confermato dalla Commissione sanitaria cinese il primo caso conosciuto di contagio umano del ceppo H3N8 di influenza aviaria. Si tratta di un bambino di quattro anni della regione di Henan, ricoverato in ospedale da poco meno di un mese con febbre ed altri sintomi. Il piccolo paziente proviene da un contesto familiare rurale, che vive a stretto contatto con polli e altri volatili selvatici. È probabile, quindi, che il contagio sia avvenuto per contatto diretto con un animale infetto. A quanto pare, inoltre, nessuno degli altri componenti della famiglia risulterebbe contagiato.
Nonostante le autorità affermino che i rischi di diffusione del virus tra gli esseri umani sia basso, la preoccupazione a livello mondiale è inevitabile, soprattutto dopo due anni di pandemia causata da un virus che, come in questo caso, aveva fatto il cosiddetto salto di specie. Con Antonio Sorice, presidente della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva (SIMeVeP), abbiamo fatto il punto della situazione, dei possibili rischi per l’uomo, e delle strategie di monitoraggio e prevenzione attuate dal nostro Paese in ambito veterinario.
«Allo stato attuale le conoscenze che abbiamo in merito all’influenza aviaria ci consentono di affermare che le probabilità di contagio diretto restano basse. Abbiamo già osservato rari casi, nel corso degli anni, di passaggio diretto all’uomo di vari ceppi del virus dell’influenza aviaria (ceppi che, ricordiamo, presentano diversi livelli di diffusibilità e patogenicità), che non hanno innescato epidemie, per cui anche stavolta siamo piuttosto tranquilli riguardo questo aspetto.
C’è poi da sottolineare che i salti di specie sono più frequenti e probabili in contesti di promiscuità tra mondo umano e animale, come l’usanza di allevare polli in casa, riconducibile al caso del bambino cinese contagiato. Ma sono ovviamente fenomeni che non appartengono alla nostra cultura. Tuttavia, come tutte le patologie trasmissibili dagli animali all’uomo anche questa è da attenzionare. In Italia abbiamo avuto negli ultimi mesi dei focolai di influenza aviaria, soprattutto in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, che oggi si stanno risolvendo anche grazie alla capacità dei Dipartimenti Veterinari di intercettarli rapidamente all’interno degli allevamenti attraverso efficaci piani di monitoraggio».
«Si tratta di un virus che proviene principalmente dalla famiglia degli Anatidae selvatici e che talvolta, per vari fattori, riescono ad oltrepassare le barriere della biosicurezza messe in atto nei nostri allevamenti e penetrare negli stessi. In tutte le regioni d’Italia i Dipartimenti e i Servizi Veterinari, attraverso i piani di sorveglianza coordinati dal Ministero della Salute e grazie all’intensa attività di monitoraggio sia negli allevamenti sia negli ecosistemi selvatici, riescono ad intercettare precocemente la presenza di eventuali focolai. Le analisi vengono svolte in collaborazione dalla rete dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali italiani. In aggiunta a questo, c’è comunque l’obbligo da parte degli allevatori, dei produttori e dei veterinari che operano in queste aziende, di segnalare eventuali episodi di mortalità anomale rispetto allo standard ai Dipartimenti che eseguiranno tutte le analisi del caso».
«In letteratura abbiamo sintomi perlopiù sovrapponibili a quelli dell’influenza umana, anche qui con le variabili dovute ai diversi ceppi. Si tratta nella maggior parte dei casi di febbre, affezione delle alte vie respiratorie e congiuntivite, fermo restando la possibilità di manifestazioni cliniche più severe in caso di fragilità o patologie pregresse».
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