Il presidente dell’Associazione Italiana Medici analizza il rapporto “Curiamo la Corruzione” e sollecita un ricambio generazionale: «Iniziare il rinnovamento dagli Omceo. Ordini regolati ancora da leggi del secolo scorso e le proposte di legge per modificarle sono bloccate in Parlamento: serve una svolta culturale, assumendosi nuove responsabilità»
Un’azienda su quattro coinvolta in casi di corruzione, un conto di oltre 13 miliardi di euro sulle casse pubbliche. Dal rapporto 2017 “Curiamo la Corruzione” (coordinato da Transparency International Italia, con Censis, ISPE Sanità e RiSSC) emerge il quadro di una sanità italiana ancora in palese difficoltà nel mettersi alle spalle le “cattive abitudini” che si traducono soprattutto in liste d’attesa, inefficienze, sprechi e calo di fiducia verso la sanità pubblica. Il sistema sanitario italiano si è attrezzato – e vaccinato – contro i rischi della corruzione, sta imparando a gestirli e limitarne gli effetti, ma è del tutto evidente, e quest’ultimo report lo testimonia, che occorre fare qualcosa di più, specialmente continuando ad investire su ricerca, formazione e nuove tecnologie. Determinante dotarsi anche degli strumenti d’analisi più indicati per individuare le crepe del settore e mettere sotto la lente le nette differenze, ancora troppo marcate, tra regioni (il Sud si conferma maglia nera con il 37,3% degli episodi) per poter condurre al meglio la campagna contro corruzioni e sprechi. Fondamentale, dunque, un salto di qualità. In quale direzione? Sanità Informazione lo ha chiesto a Walter Mazzucco, Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana Medici (AIM), protagonista di uno dei panel della presentazione del rapporto “Curiamo la Corruzione”, significativamente insieme, tra gli altri, ad Andrea Silenzi, presidente del SIGM, il principale sindacato di riferimento dei giovani medici.
Presidente, partiamo dalla lotta alla corruzione, possiamo affermare che parte dal rinnovamento?
«Si, è un tema assolutamente attuale e sentito dai professionisti e questo fondamentalmente in relazione ai dati. Proprio i dati ci dicono che le risorse per rilanciare il servizio sanitario nazionale e con esso gli operatori, le competenze che operano in questo contesto, sono insite e sono reperibili all’interno del sistema stesso. Ciò vuol dire che tutti siamo chiamati a un’assunzione di responsabilità, dalla componente dei medici piuttosto che delle altre professioni sanitarie, e per fare ciò è necessario anche un momento di discontinuità culturale che non può che partire sicuramente dalle giovani generazioni, ma anche da quanti si apprestano ad essere protagonisti del ricambio generazionale all’interno del servizio sanitario nazionale».
In concreto che cosa si può fare?
«In tal senso abbiamo in studio una ipotesi di proposta di modifica delle selezioni per l’accesso alla dirigenza medica, ad oggi eccessivamente discrezionali, caratterizzate da discrezionalità, ma la proposta sarà quella di adottare criteri oggettivi, trasparenti e tendenti a valorizzare non soltanto il merito ma anche e soprattutto le competenze. E questo non può che passare anche attraverso la creazione di un’etica, di una cultura di sistema, di cui devono farsi interpreti anche i rappresentanti della professione, a partire ad esempio dagli ordini dei medici che, lo dice la cronaca, sono ancora disciplinati da leggi istitutive risalenti agli anni ‘40 dello scorso secolo e con grandissima difficoltà attualmente in parlamento sono stati portati avanti dei disegni di legge che giacciono assolutamente bloccati, e questo è un tema che chiaramente suscita, mina alle basi la credibilità dell’istituzione ordinistica laddove l’istituzione stessa che è rappresentata in parlamento non è in grado di potersi rinnovare e potersi riformare».
Quindi discontinuità, rinnovamento e giovani medici: sono questi i tre pilastri di questo cambio di rotta?
«Sicuramente ricambio generazionale, che sicuramente vede interpreti giovani ma anche colleghi meno giovani, laddove la dimensione giovinezza va al di là, a nostro avviso, dell’età anagrafica intesa in tal senso. E quindi è più un problema di cultura, di approccio alla professione, alla sanità, e l’iniziativa “Curiamo la corruzione” è un momento di approfondimento che ci richiama alla responsabilità di essere attori e protagonisti del cambiamento. Il cambiamento non viene dall’alto, non può venire se non dal basso e in tal senso è giusto che ciascuno si assuma le proprie responsabilità e non deleghi sempre e comunque agli altri queste responsabilità, ma anzi si metta in discussione, ci metta la faccia, perché questo è un momento storico in cui per cambiare è giusto metterci la faccia».
Nei numerosi interventi della presentazione del rapporto, la parola più ricorrente è formazione. Crede sia l’elemento di svolta anche in questo ambito?
«Assolutamente. La formazione è un momento fondamentale, lo dice anche il rapporto “Curiamo la corruzione in sanità”. È il primo strumento ritenuto efficace per poter creare una discontinuità culturale e anche per superare le criticità che attengono in questo caso ai problemi della corruzione in sanità. Ma non soltanto: la formazione passa dall’azione, dagli interventi e dalle prestazioni appropriate. Questo è utile per superare gli sprechi. Quindi è grazie appunto alla formazione, unita alla presa di coscienza, che è possibile innestare il cambiamento».