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I diabetici rischiano la malattia grave? Il Covid aumenta il rischio di diabete di tipo 2? Fare sport aiuta? Indaghiamo, con l’esperto, la difficile relazione tra diabete e Covid
L’uno influenza l’altro. Sembra essere questa la stretta e rischiosa associazione tra Covid e diabete di cui si parla ancora moltissimo. Ma cosa bisogna sapere? E, soprattutto, quali sono le raccomandazioni per i pazienti? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Olga Eugenia Disoteo, specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio e coordinatrice della commissione diabete di Ame (Associazione medici endocrinologi).
«Allo stato attuale non sembra che le persone affette da diabete o obesità abbiano un maggior rischio di contrarre l’infezione da Sars-Cov-2. È invece purtroppo dimostrato che essere diabetici e/o obesi costituisca un fattore di rischio per l’andamento più grave della patologia con maggior rischio di ricoveri, terapia intensiva, sviluppo di Long Covid e morte».
«Recenti studi osservazionali dimostrerebbero che coloro che hanno avuto il Covid hanno un rischio più alto del 40% rispetto a chi non ha contratto la malattia da Sars Cov-2, di sviluppare diabete mellito, in particolare di tipo 2, entro un anno dall’infezione. Il rischio aumenta con l’aumentare della gravità della malattia raggiungendo quasi il triplo in coloro che sono stati ricoverati in terapia intensiva. Sebbene il rischio assoluto rimanga per fortuna basso non si può dimenticare la grande diffusione che ha ancora il virus. I casi di reinfezione e questo ulteriore incremento dei casi di diabete mellito possono causare una ricaduta sui sistemi sanitari. Già prima della pandemia l’incremento costante dei casi di diabete costituiva una preoccupazione per la sostenibilità dei sistemi di assistenza sanitaria».
«L’aumento del rischio e la grande diffusione impone l’adozione di sistemi di screening di popolazione. Questo per identificare precocemente lo sviluppo di diabete nel paziente con pregresso Covid. La speranza è che, in realtà, il Covid abbia solo facilitato la diagnosi di diabete favorendone il riconoscimento nella popolazione di affetti. Cosa non verificatesi, ovviamente, nei non affetti. A questo proposito, va ricordato che un paziente su due nella popolazione generale è affetta da diabete mellito tipo 2 ma non ne è a conoscenza».
«Non ci sono evidenze che i pazienti diabetici siano a maggior rischio di sviluppare Long Covid. Facciamo chiarezza, cosa si intende per Long Covid? Si intende il persistere di manifestazioni patologiche molto eterogenee per un periodo di almeno 12 settimane o più dopo un’infezione da Covid. Comprendono sintomi respiratori (tosse, dispnea) e cardiovascolari (dolore al petto, palpitazioni a riposo e per sforzi minimi). Ma anche neurologici (cefalea e modifiche persistenti del gusto e dell’olfatto), anoressia, insorgenza di diabete con chetoacidosi, tiroiditi, problemi psicologici simili a stress post traumatico. Le persone più a rischio sono le donne, gli anziani, chi è obeso o sovrappeso o è stato ospedalizzato. Il numero di patologie croniche preesistenti costituisce un fattore di rischio. In questo senso, il diabetico in particolare di tipo 2, che è spesso anche iperteso, dislipidemico, cardiopatico può essere a maggior rischio di Long Covid. È possibile che pazienti con diabete di tipo 1 o di tipo 2 che sviluppano Long Covid per i motivi sovraesposti possano presentare elevazione dei valori glicemici per un periodo più o meno lungo, elevazione connesse al persistere di uno stato di stress e infiammatorio connesso alla sintomatologia e al virus stesso».
«Ritenere che meccanismi complessi e non del tutto noti connessi al Long Covid possano essere risolti nel paziente diabetico facendo attività fisica è semplicistico, soprattutto alla luce dei sintomi del Long Covid prima descritti. Appare per lo meno complicato per un paziente con tosse, dispnea, dolori al petto, iperglicemia praticare attività fisica. È noto, peraltro, che una moderata attività fisica può prevenire o ritardare lo sviluppo di diabete mellito tipo 2 e migliorare il controllo glicemico nei pazienti con diabete tipo 1 o tipo 2. In questo senso, la ripresa di un’attività fisica moderata consona alle capacità funzionali del paziente in un momento di particolare stress può adiuvare nel miglioramento della sintomatologia e nel controllo dell’eventuale iperglicemia. Sempre in aggiunta e in affiancamento ad una corretta alimentazione e ad una adeguata terapia per il trattamento del diabete».
«È noto dagli studi che nel periodo di lockdown la maggior parte dei pazienti con diabete mellito tipo 1 ha mostrato un miglioramento del compenso glicemico connesso al maggior tempo a disposizione per curare e seguire una patologia complessa che richiede un notevole impegno quotidiano che va dalla stessa somministrazione della terapia alla cura nell’alimentazione e nel controllo glicemico. Tale tempo e attenzione spesso nella quotidianità non sono concesse a pazienti, in generale sia con diabete che con altre patologie croniche, in quanto devono far fronte alla vita quotidiana e lavorativa come tutti gli altri. Per quanto riguarda il diabete di tipo 2 le opinioni sono contrastanti. Sicuramente, il compenso del diabete è fortemente influenzato dalla motivazione e dalle conoscenze del singolo paziente. Circa l’incremento delle diagnosi di diabete in corso di pandemia non si può dimenticare l’azione favorente del virus e dei trattamenti necessari sulla slatentizzazione della patologia diabetica nei pazienti con alterazioni iniziali del compenso che, come è noto, sono diffuse e spesso misconosciute».
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