La psicologa: «Se la società accogliesse senza reprimere, i casi di disforia legati all’incongruenza di genere sarebbero molti meno»
«Una volta si diceva che le persone che sentono di appartenere a un genere diverso rispetto a quello assegnato alla nascita sono nate nel corpo sbagliato. Oggi sappiamo che non è il corpo ad essere sbagliato, ma spesso lo è il contesto». Nella Giornata mondiale dedicata alla Lotta all’omotransfobia, Sanità Informazione ha affrontato il tema delle incongruenze di genere e delle relative disforie con la dottoressa Paola Biondi, psicologa e responsabile Progetto Pari Opportunità presso Odp lazio.
«La disforia di genere consiste in un malessere o disagio profondo legato all’incongruenza di genere, cioè quando un soggetto si percepisce come appartenente al genere opposto rispetto a quello assegnato alla nascita. La disforia nasce principalmente dal mancato allineamento tra l’intima percezione di sé del soggetto ed il modo in cui il contesto si relaziona a lui. Non sempre l’incongruenza genera disforia. Nei casi in cui questo malessere invece si manifesti, è fondamentale intervenire per supportare i processi di affermazione di genere, più conosciuti come percorsi di transizione».
«L’incongruenza di genere può manifestarsi, a livello temporale, in modo molto variabile. Fermo restando che l’identità di genere si stabilizza intorno ai 3 anni d’età, i casi di incongruenza precoce possono manifestarsi già nella prima età scolare, dai 4 ai 6 anni circa, che possono sfociare in disforia per lo più nella fase puberale, quando il corpo si trasforma in maniera netta nella direzione in cui è geneticamente programmato. Ma esistono casi di persone adulte che dopo aver vissuto una vita più o meno serena rispetto al proprio genere, riescono a dare un nome al malessere che li affliggeva, la disforia appunto».
«Il contesto sociale, familiare, culturale, impatta in modo decisivo nel tramutare l’incongruenza in disforia: una volta si diceva che chi manifesta incongruenza di genere è nato nel corpo sbagliato, ed invece è il contesto ad essere sbagliato. Se le persone fossero libere di esprimere il loro genere senza costrizioni di nessun tipo, probabilmente molti soggetti con incongruenza di genere non svilupperebbero disforia, soprattutto nell’età prepuberale. Durante la pubertà, come dicevamo, intervengono altri fattori legati alle modifiche del corpo, ad essere potenziali cause di disforia. Per essere di supporto alla persona che manifesta disforia è essenziale che tutti i soggetti coinvolti siano correttamente informati e formati sul fatto che l’incongruenza di genere non è una malattia da curare ma una caratteristica che deve dar luogo a un percorso di affermazione di sé e della propria identità di genere».
«Per quando riguarda i bambini, il supporto psicologico consiste nell’incoraggiarli ad esprimere sé stessi in base al genere cui sentono di appartenere. È quindi importante coinvolgere, oltre la famiglia il cui consenso è fondamentale, anche le altre figure di riferimento del bambino, tra cui gli insegnanti, per dare al bambino la possibilità di attuare prima di tutto la cosiddetta transizione sociale, in cui si senta accolto e non discriminato o giudicato. Una volta giunti alla pubertà, i bambini verranno accompagnati fino alla maggiore età in cui potranno iniziare il vero e proprio processo di transizione. In alcuni casi la disforia è così importante che già verso i 15-16 anni si manifesta il bisogno di iniziare la terapia cross-gender».
«In casi di emergenza (per esempio in quelli con potenziale alto rischio suicidario) si può intervenire, dopo attenta valutazione clinica e previo consenso della Commissione bioetica di riferimento, con bloccanti ipotalamici, terapia reversibile che permette di arginare le manifestazioni più evidenti dello sviluppo puberale e dei caratteri sessuali secondari, al fine di ridurre il disagio. Disagio che può anche riguardare solo alcune parti del corpo o caratteri sessuali secondari: la barba, la voce, o il seno ad esempio. In questi casi si può tendere a una terapia ormonale a un dosaggio inferiore (micro-dosing), che limita appunto le modificazioni corporee con effetti meno evidenti di una terapia a pieno dosaggio».
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