Salute 31 Maggio 2022 15:16

Trapianti a cuore fermo: in Italia sono il 5%, ma potrebbero dimezzare le liste di attesa

Cardillo (CNT): «La diffusione dei trapianti a cuore fermo stenta a decollare perché più complessi da gestire e organizzare di quelli a cuore battente (per morte cerebrale)». A Roma il primo caso del Policlinico Umberto I

Sono più di 8 mila le persone che, in Italia, attendono di poter ricevere un trapianto d’organo. Una lista lunghissima che potrebbe essere notevolmente snellita incrementando le donazioni a cuore fermo. «Questo tipo di donazione oggi rappresenta meno del 5% dei prelievi d’organo che vengono effettuati, ogni anno, nel nostro Paese», dice Massimo Cardillo direttore generale del Centro Nazionale Trapianti.

All’Umberto I la prima donazione a cuore fermo

Eppure, in media, in Italia, ogni giorno 274 persone perdono la vita a causa di un arresto cardiaco, circa 11 ogni ora. E tra questi potrebbero esserci molti potenziali donatori di organi. «Incrementare le donazioni a cuore fermo è uno dei principali obiettivi al quale il Centro Nazionale Trapianti sta lavorando», continua Cardillo.

Un traguardo difficile da raggiungere, ma non impossibile. Al Policlinico Umberto I di Roma, infatti, di recente è stata effettuata la prima donazione a cuore fermo. «Un’ottima notizia per tutta la rete trapiantologica nazionale, che da oggi può contare su uno dei più importanti ospedali italiani anche per questo particolare tipo di prelievo», aggiunge il direttore generale del Centro Nazionale Trapianti.

La donazione a cuore fermo in pratica

Le donazioni a cuore fermo vengono effettuate prelevando gli organi da pazienti deceduti a seguito di un arresto cardiaco. «Si tratta di percorsi di particolare complessità – spiega Cardillo – che richiedono un grande lavoro clinico-organizzativo. Per preservare l’organo prelevato che attende di essere trapiantato, è necessario mettere in atto tutta una serie di misure specifiche».

Anche il tempo che si ha disposizione è poco, molto più limitato di quello previsto per i trapianti da donatori deceduti per morte cerebrale, effettuati di consueto. «Bisogna fare in fretta – dice il direttore generale del Centro Nazionale Trapianti – perché la mancanza di circolo sanguigno potrebbe portare ad un deterioramento degli organi da prelevare. La maggiore delicatezza di questo tipo di trapianto è anche la ragione per la quale, negli anni, la donazione a cuore fermo si è diffusa poco ed a fatica. Gli ospedali vanno organizzati e il personale formato ad effettuare manovre complesse, come la perfusione del torace del donatore e degli organi dopo il prelievo, azioni che nella donazione a cuore battente non sono previste».

La morte cerebrale non è apparente

Tuttavia, pur essendo più difficile da organizzare ed eseguire, la donazione a cuore fermo è accolta più favorevolmente dai familiari che devono prestare il consenso per conto del proprio caro. L’arresto cardiaco è, nell’immaginario collettivo, più facilmente associato al decesso di un individuo. La morte cerebrale, invece, può ingannare, anche se solo in apparenza: «Per poter prelevare gli organi da un paziente deceduto per morte cerebrale sono necessari degli interventi preparativi, che vanno dalla somministrazione di farmaci a quella di liquidi, fino alla ventilazione automatica. Il torace del donatore, quindi, continuerà ad espandersi ed il cuore a battere, seppure solo attraverso appositi macchinari. Ma questa condizione potrebbe indurre i familiari a pensare che la persona non sia realmente morta e che possa avere ancora una sorta di seconda possibilità. Ma non è cosi: la morte cerebrale è una morte analoga a quella per arresto cardiaco», sottolinea Caridillo.

Si punta al raddoppio dei trapianti

In alcuni Paesi, dove le donazioni a cuore fermo sono una pratica già consolidata, il numero dei trapianti complessivi è raddoppiato. Una quantità che non ha avuto conseguenze negative sulla qualità: «Gli esiti che è possibile ottenere da un trapianto a cuore fermo sono gli stessi che di consueto otteniamo con quelli a cuore battente (ovvero da donatori deceduti per morte cerebrale, ndr). Per questo – conclude Cardillo – speriamo di poterne incrementare presto la diffusione anche nel nostro Paese».

 

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