In un paper pubblicato dai ricercatori del Brain Plasticity Group presso il CIMeC, la tecnica della stimolazione magnetica transcranica potrebbe abbreviare e potenziare la riabilitazione. Ecco in cosa consiste
Importanti (e promettenti) novità in merito alla riabilitazione di pazienti colpiti da ictus o dolore cronico (come fibromalgia o endometriosi) arrivano da un paper pubblicato di recente dai ricercatori del Brain Plasticity Group presso il CIMeC (Centro interdipartimentale Mente/Cervello), il centro di Neuroscienze recentemente classificatosi come principale unità di ricerca italiana in Neuroscienze cognitive.
«La tecnica – spiega la dottoranda Arianna Brancaccio, che fa parte del team guidato dal professor Paolo Belardinelli – si basa sulla stimolazione magnetica transcranica (TMS), una tecnica in cui viene utilizzato uno stimolatore connesso ad un circuito in cui passa un flusso di corrente che genera un campo magnetico (detto “coil”) che viene posizionato sul punto del cranio più vicino all’area cerebrale che si intende stimolare. Settando i parametri sullo stimolatore, il campo magnetico raggiunge la corteccia cerebrale e perturba il funzionamento dell’area e quelle ad essa collegate».
La TMS non viene utilizzata esclusivamente da sola ma può essere combinata con l’elettroencefalografia (EEG) per registrare in tempo reale i cambiamenti dell’attività cerebrale a seguito della stimolazione. Ma questo approccio ha un problema: «In questi casi – continua Brancaccio – non si ha in genere un controllo diretto di ciò che sta succedendo nel cervello del soggetto poco prima che arrivi lo stimolo TMS: in altre parole, non si controlla cosa sta succedendo nel cervello, e in particolare nell’area stimolata, al momento della stimolazione. Questo problema aumenta la variabilità degli effetti della stimolazione con la conseguenza che questi non sono del tutto prevedibili».
Questo problema (il cervello considerato come una “blackbox”, ovvero una “scatola nera” in cui non si sa apriori cosa succederà) può però essere superato da un tipo particolare di applicazione della TMS: la brain-state dependent stimulation. «Questa tecnica, all’avanguardia e ancora poco diffusa, permette di determinare uno stato istantaneo preciso del cervello a cui si vuole che lo stimolo venga rilasciato», spiega il professor Paolo Belardinelli, group leader del Brain Plasticity Group, che spiega: «Si determina, ad esempio, uno stato istantaneo che l’elettroencefalogramma deve raggiungere e che è di interesse per il quadro clinico o sperimentale e solo nel momento in cui il cervello raggiunge quello stato (ciò viene verificato tramite un set-up EEG dedicato a questa tecnica) la stimolazione viene rilasciata. Questo tipo di tecnica permette, in poche parole, di avere un controllo su cosa sta succedendo nel cervello quasi al momento dello stimolo (2 millisecondi prima). Inoltre, si possono identificare stati del cervello che sono particolarmente vantaggiosi in termini di effetti per una certa stimolazione. A ciò si aggiunga che ogni soggetto ha dei brain-states leggermente diversi dall’altro. Per cui la nostra ricerca va nella direzione dell’individualizzazione della stimolazione sulla base di caratteristiche individuali. La stimolazione è concepita come la risposta a una “domanda” del cervello del soggetto, in qualche modo. Il cervello riceve lo stimolo solo quando è davvero pronto a processarlo efficacemente».
In poche parole, con questa tecnica la riabilitazione di un paziente non avverrebbe più (o non soltanto) attraverso le pratiche “canoniche”, sostanzialmente uguali per tutti, ma attraverso un percorso personalizzato, adattato alle caratteristiche del problema del paziente.
«Nei laboratori del CIMeC – spiega Belardinelli – abbiamo a disposizione il set-up per la brain-state dependent stimulation e intendiamo instaurare collaborazioni con realtà ospedaliere al fine di poter sviluppare protocolli innovativi alla riabilitazione. Un esempio di popolazione di interesse potrebbero essere i pazienti che hanno subito un ictus e che soffrono deficit motori. Puntare alla riabilitazione di pazienti con protocolli di stimolazione personalizzata significa superare il limite, spesso attribuito alla medicina, di non riuscire ad inquadrare il paziente nella sua individualità. Usare, invece, un dato registrato direttamente dal paziente (tramite l’elettroencefalografia), riconoscere il modo in cui questo devia rispetto ad un funzionamento normo-tipo, e modularlo tramite la TMS permetterebbe invece di ristabilire l’attività corticale del paziente portandola ad avvicinarsi al tipo di attività più simile a quello rilevabile in soggetti sani. Questo costituirebbe una svolta in termini di potenza dei protocolli riabilitativi, in quanto la loro efficacia verrebbe potenziata dal carattere personalizzato della terapia stessa».
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