Maximiliano Ulivieri, nel 2013, ha fondato il Comitato Lovegiver, per promuovere la professione dell’O.E.A.S., l’operatore per l’assistenza emotiva, affettiva e sessuale di persone con disabilità fisico e/o cognitiva
«Sophie è la parte perfetta di me. Vederla correre, giocare, ridere è la gioia più grande della mia vita». A parlare è Maximiliano Ulivieri, un uomo di 52 anni affetto dalla C.M.T. – 1A (Charcot-Marie-Tooth) che colpisce i muscoli e i nervi periferici.
Sophie è venuta al mondo poco più di due anni fa ed è solo il traguardo più grande di una vita costellata di tante vittorie, tutte sudate e meritate. Maximiliano ha cominciato fin da giovanissimo a battersi affinché a tutti i disabili, affetti da disabilità fisico-motoria e/o psichico-cognitiva, venisse riconosciuto il diritto all’affettività ed alla sessualità. «Per questo – racconta Maximiliano – nel 2013 ho fondato il Comitato Lovegiver, sulla scia di iniziative simili già consolidate in altri Paesi, come ad esempio in Germania o Danimarca. Ho scelto il termine Lovegiver per suscitare interesse e curiosità, ma in realtà è più corretto parlare di assistenza all’emotività, all’affettività e alla sessualità, assistenza fornita da professionisti formati ad hoc e definiti attraverso l’acronico O.E.A.S. (dove “o” sta per operatore)».
«L’O.E.A.S. è un operatore professionale, uomo o donna con orientamento bisessuale, eterosessuale o omosessuale con delle caratteristiche psicofisiche e sessuali “sane” – sottolinea Ulivieri – tanto che gli aspiranti O.E.A.S. devono superare una selezione accurata prima di poter accedere al percorso formativo. Tra i principali obiettivi vi è quello di abbattere lo stereotipo secondo cui le persone con difficoltà e disabilità siano soggetti “asessuali” o, comunque, non idonee a vivere e sperimentare la sessualità».
L’O.E.A.S. non è una figura professionale riconosciuta a livello nazionale. O almeno, non ancora. Maximiliano, infatti, da oltre un decennio porta avanti anche un’altra battaglia, quella per l’approvazione di una legge che riconosca questa professione in ambito socio-sanitario e, di conseguenza, affermi il diritto alla sessualità di tutte le persone disabili. «Mi riferisco a disabilità di ogni tipo, da quelle fisiche a quelle cognitive, e di gravità differenti. I livelli di autonomia di una persona disabile sono estremamente variabili, tanto che nei casi più estremi, quelli in cui non è possibile muovere nessuna parte del corpo, anche l’autoerotismo è totalmente impossibile da praticare. Ed è proprio in queste situazioni più estreme – racconta il presidente di Lovegiver – che il contributo del Comitato è ancor più prezioso».
Nel caso di Maximiliano la strada è stata sì in salita, ma ha potuto percorrerla in autonomia: «Ho cominciato ad approcciarmi all’altro sesso chattando in rete – racconta -. Ho sempre pensato che se avessi conquistato la testa di una donna, poi il resto sarebbe stato in discesa. E così è stato. Ovviamente, non sempre la sintonia instauratasi a livello mentale è riuscita a rimanere inalterata pure durante gli incontri vis à vis. Ci sono state donne che non sono riuscite ad “accettare” il mio aspetto. Ma sono convinto che questo sarebbe potuto succedere anche se non fossi stato disabile: molte storie cominciano, poche continuano e, nel migliore dei casi, una sola dura per un’intera esistenza. Così accade a tutti e così è accaduto anche a me: ho avuto le mie esperienze, le mie storie più o meno importanti, fino all’incontro con la donna della mia vita, colei che due anni fa ha messo al mondo la mia piccola e meravigliosa Sophie. E così, come mia figlia ha illuminato la mia vita, continuerò con il mio Comitato a sostenere le persone più fragili e le loro famiglie, affinché anche loro – conclude Maximiliano – possano essere pervasi dalla stessa intensa luce».
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