La psicoterapeuta Eleonora Iacobelli spiega le possibili implicazioni della scelta di Fedez di pubblicare sui social gli audio delle sedute con lo psicologo
Lecito, ma poco rispettoso per il ruolo del terapeuta. Questo, in estrema sintesi, è quanto pensa la psicoterapeuta Eleonora Iacobelli, presidente Eurodap (Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico) e direttore scientifico Bioequilibrium, della decisione di Fedez di pubblicare una serie di stories su Instagram con l’audio delle sedute con lo psicologo. Sono stati quindi resi pubblici i colloqui con lo psicologo nel giorno in cui ha scoperto di avere un tumore al pancreas. «Ho paura di morire, ho paura che i miei figli non si ricorderanno neanche di me», dice Fedez, che ha sempre parlato sui social network dell’evoluzione della sua malattia.
La scelta di Fedez ha fatto discutere, per l’ennesima volta, se sia opportuno o meno condividere alcune informazioni molto personali. «Tecnicamente il materiale e tutto ciò che viene detto durante una seduta di psicoterapia dovrebbe rimanere segreto, ma l’obbligo della riservatezza è esclusivamente a carico del professionista», specifica subito Iacobelli. «Il paziente ha l’assoluta possibilità di farne ciò che vuole. Certo è che in genere, le sedute non si registrano e ovviamente non si rendono pubbliche. Si può supporre – continua – che prima di registrare l’incontro la cosa sia stata largamente dibattuta ed approfondita negli incontri precedenti. Probabilmente la psicoterapeuta era non solo a conoscenza dell’intento di Fedez, ma ha anche dato il suo benestare».
«Immagino che sia stata fatta un’attenta valutazione rispetto a cosa pubblicare o meno e che ciò sia stato oggetto di un attento dibattito fra i protagonisti della seduta», sottolinea la psicoterapeuta. «Solo Fedez, ed eventualmente la sua terapeuta, possono dire con certezza quale fosse l’intento dietro a questo gesto, ma sicuramente se concordato non mina in alcun modo la loro alleanza terapeutica», aggiunge.
«Può, però, agli occhi dell’opinione pubblica, togliere quel velo di mistero e riservatezza – continua Iacobelli – che inevitabilmente accompagna l’idea di ciò che può avvenire in una seduta. Se ciò, da un certo punto di vista può essere funzionale e svelare, finalmente, che durante una seduta di psicoterapia non succede “nulla di strano”; dall’altra, inevitabilmente, potrebbe svalutare il ruolo del terapeuta rendendolo quasi “un amico”. Immagino, comunque, che tali valutazioni siano state fatte da entrambi i protagonisti della vicenda, prima di prendere una tale decisione».
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