È la domanda da un milione di dollari, la cui risposta può determinare le scelte sulla futura gestione della pandemia. Tuttavia, non c’è una riposta univoca…
Da quando la variante Omicron, in tutte le sue versioni, ha iniziato a essere quella dominante ci sono molti interrogativi a cui la scienza non riesce a rispondere in modo univoco. Tra questi c’è quello che riguarda la durata della contagiosità di una persone positiva al virus Sars-CoV-2. Quello che oggi tutti si chiedono è per quanto tempo si rimane contagiosi? In effetti, gli studi sull’argomento sono piuttosto contraddittori: si va da posizioni molto ottimistiche a posizioni completamente contrarie, cioè molto pessimistiche. Non stupisce, dunque, l’estrema variabilità con cui i Paesi del mondo stanno agendo, specialmente sul fronte della durata dell’isolamento.
A fare un’ampia rassegna della letteratura scientifica sull’argomento è stato un articolo pubblicato sulla rivista Nature, dal quale emergono tanti dubbi e interrogativi. Lo scorso dicembre i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) hanno dimezzato la durata dell’isolamento raccomandato portandolo a 5 giorni. I CDC hanno spiegato che la maggior parte della trasmissibilità del virus Sars-CoV-2 si verifica all’inizio della malattia, precisamente da uno a due giorni prima dell’insorgenza dei sintomi e da due a tre giorni dopo. Tuttavia, ci sono una serie di studi i quali suggeriscono che molte persone con Covid-19 rimangono infettive anche la seconda settimana dopo aver manifestato i primi sintomi.
Una ricerca condotta da Amy Barczak, specialista in malattie infettive presso il Massachusetts General Hospital di Boston, suggerisce che un quarto delle persone che hanno contratto la variante Omicron di Sars-CoV-2 potrebbe essere ancora contagiosa dopo otto giorni. Lo studio è stato pubblicato sul sito medRxiv. Mentre una ricerca del Crick Institute e dall’University College Hospital, entrambi a Londra, suggerisce che un numero significativo di persone mantiene una carica virale sufficientemente alta da poter infettare altre persone dai 7 ai 10 giorni, indipendentemente dal tipo di variante o dal numero di dosi di vaccino ricevute. Anche questo studio è stato pubblicato sul sito medRxiv.
Yonatan Grad, specialista in malattie infettive presso la Harvard TH Chan School of Public Health di Boston, Massachusetts, ritiene che dieci giorni siano una regola pratica utile da considerare quando si tratta di determinare la contagiosità di una persona. Ma avverte che un piccolo numero di persone potrebbe essere ancora contagioso oltre quella finestra temporale. Alcuni di questi casi, negli Stati Uniti, sono stati collegati al farmaco antivirale Paxlovid. «C’è un fenomeno di rimbalzo in cui le persone vedono i loro sintomi risolversi e potrebbero anche risultare negativi a un test rapido, ma poi pochi giorni dopo i sintomi e il virus si ripresentano», spiega Grad.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato