Uno studio internazionale a cui ha preso parte il centro NeMO di Milano ha scoperto, grazie ad una famiglia italiana con diversi membri affetti da SLA con la mutazione della senataxina, il coinvolgimento del sistema immunitario nella diagnosi e nel trattamento della forma genetica rara di SLA di tipo 4
Sono circa 40.000 le persone in Italia affette da malattie neurodegenerative e neuromuscolari tra cui la Sclerosi Laterale Amiotrofica, comunemente detta SLA, le distrofie muscolari e l’atrofia muscolare spinale (SMA).
Si tratta di patologie altamente invalidanti che hanno un grave impatto sociale con lunghi e complessi percorsi di cura e assistenziali per i quali ad oggi non ci sono possibilità di guarigione. Ma la ricerca non si ferma e proprio da uno studio internazionale, coordinato da un gruppo di ricercatori italiani del Dipartimento di Microbiologia dell’Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York, a cui ha preso parte come unico partner italiano il centro NeMO di Milano, ci sono oggi importanti novità che riguardano il coinvolgimento del sistema immunitario come spiega a Sanità Informazione Laura Campisi che ha coordinato il progetto americano.
«La SLA è una malattia neurodegenerativa che colpisce le cellule del sistema nervoso, in particolare i neuroni; la novità dello studio è data dal fatto che abbiamo osservato che la perdita della capacità motoria avviene solo se la mutazione del gene SETX è espressa sia nelle cellule del sistema nervoso centrale che in quelle del sistema immunitario. Non solo, abbiamo riscontrato anche delle anomalie del sistema linfocitario, infatti nei pazienti con SLA di tipo 4 è presente un’alta concentrazione di cellule linfocitarie T CD8 (di solito hanno un ruolo nell’eliminazione di cellule tumorali o infettate da patogeni), che risultano essere presenti nel midollo spinale e nel sangue con un aumento correlato alla progressione della malattia. Il dato ottenuto è incoraggiante – sottolinea Campisi – perché le cellule del sistema immunitario da un punto di vista terapeutico sono più facili da trattare e questo dà speranza per trovare terapie personalizzate in grado di colpire la malattia».
Risultati incoraggianti, dunque, che riguardano la cosiddetta SLA di tipo 4 meglio nota come Sclerosi laterale amiotrofica giovanile. «È una forma di SLA particolare – puntualizza la coordinatrice dello studio americano – perché i sintomi si manifestano già nell’infanzia ed è a progressione lenta, perché mentre la SLA si manifesta generalmente in età adulta con una velocità di progressione che può essere abbastanza variabile da una persona all’altra. Infatti, sebbene il tempo medio di sopravvivenza sia tra i tre a i cinque anni, molte persone vivono dieci o più anni. Questa forma di cosiddetta SLA giovanile evolve in 30/40 anni in modo più lento e il sistema respiratorio non viene colpito. La scoperta fatta ci spinge ad indagare se riguarda solo questa tipologia o anche altre forme; infatti, il coinvolgimento del sistema immunitario e in particolare di questa popolazione di linfociti T apre delle prospettive terapeutiche nuove».
NeMO, unico partner italiano dello studio internazionale, dal 2021 con NeMOLab è il primo polo tecnologico italiano per la ricerca e lo sviluppo di soluzioni innovative per rispondere ai bisogni di chi ha una patologia neurodegenerativa e neuromuscolare, come la SLA, la SMA e le distrofie muscolari. NeMO, gestito da Fondazione Serena Onlus, un’organizzazione costituita da Fondazione Telethon, Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (UILDM), Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica (AISLA), Associazione Famiglie Sma, Associazione Non Profit Slanciamoci e Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport Onlus, ha sette sedi in Italia: Milano, Roma, Arenzano (Genova), Napoli, Brescia, Trento e Ancona dove le prestazioni sanitarie sono erogate nell’ambito e per conto del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), pertanto senza oneri a carico del paziente.
«Clinica e ricerca da noi sono strettamente connessi – sottolinea Valeria Sansone direttore clinico e scientifico del Centro NeMO Milano –. Il centro prende in carico pazienti di ogni età, in tutte le fasi della malattia, dalla diagnosi alla fase di follow up, e stiamo a fianco delle famiglie durante tutto il percorso con un team multidisciplinare». Il modello NeMO prevede 23 specialità cliniche che operano insieme per garantire la continuità della presa in carico, attivando una rete di cooperazione tra endocrinologo, cardiologo, oculista, foniatra, gastroenterologo, anestesista, urologo, ginecologo. «Anche infermieri e Oss sono specializzati per queste tipologie di pazienti – puntualizza-. Parallelamente c’è un centro di ricerca intitolato a Nanni Anselmi, un nostro paziente con SLA che purtroppo ci ha lasciato, ma il suo ottimismo è sempre stato di grande stimolo per tutti noi ed oggi il centro composto da giovani ricercatori universitari di alta professionalità vuole essere proprio un punto di riferimento per la ricerca, l’osservazione dell’andamento delle nostre malattie e l’impatto dei farmaci. Questo è un aspetto importante che noi portiamo avanti e facendo rete con gli altri centri, mettiamo a disposizione la nostra esperienza».
Proprio da una attenta analisi clinica, il team di NeMO con la collaborazione del laboratorio di Genetica Medica dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda ha identificato nel 2010 la prima famiglia italiana che presenta diversi individui affetti da SLA con la mutazione della senataxina. «Abbiamo avuto un paziente con caratteristiche compatibili con questa mutazione specifica – spiega – avendo noi un numero importante di pazienti su cui svolgiamo analisi genetiche, abbiamo avuto la possibilità di arrivare ad una diagnosi precisa. Negli ultimi anni, dal 2017, abbiamo riscontrato una escalation di novità tecnologiche e di capacità di superare delle difficoltà tecniche. Questo permette di garantire terapie sempre più personalizzate e grazie alle innovazioni tecnologiche di andare ad agire sul difetto genetico. Ci sono poi tutta una serie di situazioni epigenetiche che possono influire il quadro clinico, per questo è importante avere clinica e ricerca insieme». Una combinazione che è valsa al centro NeMO di Milano, di entrare nello studio internazionale coordinato dal gruppo di ricercatori italiani del Dipartimento di Microbiologia dell’Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York, come unico partner italiano.
Il futuro: terapie farmacologiche e tecnologia
«Oggi la presa in carico fa tanto in termini di sopravvivenza e di migliore qualità della vita – ribadisce il direttore clinico e scientifico di NeMO Milano -. Noi stiamo lavorando su tre versanti: oltre alla presa in carico che è la base di partenza, su terapie farmacologiche multifattoriali e sulla ricerca tecnologica. Siamo consapevoli della complessità della malattia, ma fiduciosi».
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