Bisconti (AIFI): «Attenzione alle controindicazioni: il cupping therapy non è una tecnica innocua come sembra»
Vedere i nuotatori della nazionale azzurra durante i recenti mondiali di Budapest con i bicipiti costellati di grossi pois rosso scuro ha incuriosito migliaia di telespettatori poco avvezzi alle tecniche di medicina tradizionale. Quegli strani segni, infatti, derivano dalla cupping therapy, una particolare terapia adoperata per lenire i tipici dolori muscolari che spesso interessano chi pratica attività sportiva a livello agonistico. Sanità Informazione ha voluto saperne di più, intervistando il dottor Mattia Bisconti, fisioterapista presidente del Gruppo di Terapia Manuale dell’AIFI (Associazione Italiana Fisioterapisti).
«Il cupping, o cupping therapy o coppettazione è stato sdoganato soprattutto negli ultimi anni da parte degli sportivi ma in realtà è una tecnica tutt’altro che recente. Già migliaia di anni fa, nell’antica Cina iniziano a diffondersi le prime tecniche di cupping therapy, utilizzate per trattare dolori muscolo-scheletrici come lombalgia, lombosciatalgia, mal di schiena in generale, dolori cronici e persino malattie respiratorie. Oggi viene utilizzata soprattutto per trattare dolori muscolari».
«Consiste nell’applicare delle particolari coppette in plastica resistente o in vetro sulla cute in corrispondenza delle aree di dolenzia generando il vuoto all’interno dello spazio coperto dalla coppetta. Esistono differenti strategie e protocolli di trattamento, ad esempio coinvolgendo solo l’area interessata dalla dolenzia o anche le aree circostanti, quindi utilizzando una coppetta o più coppette per seduta. L’applicazione delle coppette dura da 5 a 15 minuti e viene utilizzata in ambito ortopedico, in fisiatria e fisioterapia».
«Nonostante il cupping possa apparire una tecnica priva di controindicazioni, queste invece esistono. Il principio su cui si basa questa tecnica è il miglioramento della circolazione sanguigna nelle zone trattate. E, maggiore è il tempo di applicazione delle coppette maggiore è il rischio che si presentino effetti avversi: ematomi, emorragie, infezioni o paradossalmente un peggioramento del disturbo che si intendeva curare. Bisogna quindi prestare molta attenzione alla corretta tempistica e modalità di applicazione oltre a procedere ad una corretta anamnesi del paziente».
«Non ci sono ad oggi linee guida o studi randomizzati con revisione sistematica che attestino l’efficacia terapeutica di questa tecnica. La sua applicazione viene quindi lasciata all’expertise e alla personale valutazione dello specialista, proprio perché non esistono evidenze scientifiche che certifichino la pratica del cupping come scelta terapeutica indicata per i disturbi che si propone di curare».
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