Dai tre ai sei mesi i tempi necessari per avere un comunicatore. I ritardi delle regioni e l’aiuto di AISLA. Giordana Donvito consulente del centro di ascolto: «Poche disponibilità e non in tutte le regioni, procedure differenti che rallentano i percorsi; mentre la malattia avanza e poco dopo la consegna degli strumenti, si ricomincia»
Giordana Donvito è una terapista occupazionale che nel quotidiano svolge la sua attività in Nemo Lab, Hub per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie innovative a Milano. Il suo lavoro in AISLA (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) è basato sull’ascolto, la consulenza e il sostegno ai pazienti affetti da SLA. In pratica è l’angelo custode di molti pazienti e delle loro famiglie. Il suo quotidiano è fatto di risposte per indirizzare verso la soluzione più congrua al problema. Un terreno che comunque resta minato perché i pazienti sono consapevoli che si tratta di un viaggio in salita, con poche speranze e tanti ostacoli da superare. Eppure, mentre la ricerca avanza (è notizia di qualche giorno fa, pubblicata sulla rivista scientifica mondiale per eccellenza New England Journal of Medicine, la scoperta di un farmaco – Tofersen- in grado di rallentare e in alcuni casi addirittura invertire la progressione della malattia) e la tecnologia dà soluzioni per rimanere aggrappati alla vita, la burocrazia rende tutto più complicato, spesso addirittura inutile.
«Il mio ruolo è di raccogliere segnalazioni e presentare le soluzioni in risposta alle difficoltà e ai bisogni del malato di SLA – ci dice Giordana -. Parlo con i pazienti e i famigliari e indago il bisogno specifico, per indirizzarli poi su quelle che sono le strade percorribili». Dalle app gratuite con sintesi vocali standard, alle soluzioni tecnologiche di CAA, dai campanelli di chiamata, ai device a puntamento oculare. Il ventaglio di proposte è ampio, ciò che è fondamentale, è capire subito il bisogno ed indirizzare pazienti e famigliari che vivono nel limbo dell’incertezza e della paura su cosa fare. «Quando la malattia è in una fase già avanzata – riprende la terapista occupazione – occorre orientarsi su dispositivi che “registrano” il movimento del capo o degli occhi, strumenti di alta tecnologia che richiedono un percorso oggi troppo lungo e complicato per la loro acquisizione». E qui inizia un iter che spesso inchioda il malato di SLA al suo isolamento, i famigliari alla disperazione, e i terapisti occupazionali e i professionisti che li seguono ad un senso di impotenza e di sconforto.
«Le procedure di acquisto o di noleggio dei comunicatori cambiano da regione a regione, se non da distretto a distretto all’interno della stessa regione – fa notare Giordana -. In Lombardia le prescrizioni vengono gestite con l’ausilio di un sistema informatico che sicuramente ha il vantaggio di accorciare i tempi, ma si tratta di un unicum. Al di fuori invece i tempi sono dilatati, a volte occorre rifare la pratica più volte prima di arrivare all’acquisizione dello strumento, nel frattempo se la malattia è progredita tutto diventa inutile e le persone continuano a vivere le difficoltà provocate dalla perdita della voce e delle abilità motorie senza ricevere risposte».
Come si articola questo percorso ad ostacoli, ce lo spiega la stessa consulente di AISLA: «Innanzitutto i clinici valutano la persona, i suoi bisogni di comunicazione e le sue competenze, tenendo conto delle abilità motorie residue, dell’ambiente e del nucleo famigliare in cui vive. Questo permette di capire quali possono essere le modalità di interazione dello stesso con l’ambiente circostante e individuare il dispositivo più congruo con la patologia, definendo così i supporti e gli strumenti di CAA (come amplificatori laddove la voce è presente ma flebile, tabelle di comunicazione, emulatori di mouse, puntatori oculari dotati di software dedicati) più adeguati. Di seguito viene avviata la fase di prova da parte di operatori sanitari, come terapista occupazionale, logopedista e tecnici specializzati nell’ambito della CAA.
Per le strumentazioni tecnologiche il medico specialista prescrittore (in genere il fisiatra o il neurologo che svolge la sua mansione in una Struttura Pubblica o Privata Accreditata) avvia la prescrizione clinica con cui si richiede l’erogazione dei dispositivi. Al di fuori della regione Lombardia le prescrizioni cartacee devono essere consegnate all’ufficio protesi del distretto sanitario territoriale di riferimento, che una volta acquisita la prescrizione può verificare se dispone della strumentazione a magazzino per il suo ricondizionamento ed avviare secondariamente l’ordine di noleggio o acquisto dello stesso device all’azienda aggiudicataria. Non è possibile descrivere il percorso in maniera univoca, ogni territorio elabora ed avvia procedure differenti, che non facilitano e non rendono snello il percorso in tutte le sue fasi. In alcuni territori, ad esempio, nonostante sia già stata erogata una prescrizione clinica in tal senso, è dovuto un ulteriore intervento di valutazione e prova delle tecnologie, poiché la procedura elaborata a livello territoriale lo rende un passaggio obbligato». Il tutto in media si “risolve” in sei mesi, anche se in realtà il supporto tecnico sarebbe necessario anche durante la fase di follow up come mette in evidenza la terapista occupazionale «L’evoluzione della malattia può provocare nuove difficoltà per la persona con SLA (ad esempio può diventare complicato e faticoso fissare o raggiungere uno o più punti del monitor con gli occhi) che a loro volta generano la necessità di apportare delle modifiche alla configurazione del device per garantire quanto più la comunicazione. Anche in questo contesto non ci sono percorsi ben delineati e chiari per facilitare l’erogazione degli interventi di assistenza ai device quando già sono stati erogati alla persona».
La Lombardia con la procedura digitalizzata ha accorciato i tempi, ma ancora non basta. La burocrazia purtroppo rappresenta un problema di difficile soluzione. «Ma non l’unico – fa notare Giordana – purtroppo c’è poca formazione e informazione su più livelli. Per questo con un gruppo di lavoro di AISLA abbiamo predisposto un documento di buona pratica per i percorsi di comunicazione aumentativa alternativa, nel tentativo di dare delle linee guida che partissero dalla segnalazione del bisogno fino al momento che segue alla fornitura dei comunicatori: il follow up, delineando le diverse fasi del percorso che coinvolgono la persona con SLA, i famigliari, le figure professionali cliniche, le figure amministrative e i tecnici di CAA. Diverse le indicazioni, tra cui un elenco dei principali device di CAA con relativa descrizione e codifica prevista da Nomenclatore Tariffario delle Protesi, e schede di valutazione che hanno la finalità di accompagnare e guidare i diversi attori coinvolti nel percorso di CAA. Cosa serve? Punti di riferimento clinici e amministrativi chiari e definiti, maggiore conoscenza delle tecnologie e delle modalità prescrittive, procedure più snelle e uno sforzo congiunto per rendere meno difficile l’acquisizione di un comunicatore», conclude.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato