Quattro casi a Belluno hanno fatto temere la presenza di un focolaio. Dopo sette giorni di accertamenti il pericolo sembra essere rientrato. Da Ulss Dolomiti il vademecum per riconoscere i sintomi e gli errori da evitare per non portare sulle tavole cibo contaminato
Quattro casi di avvelenamento da tonno registrati la scorsa settimana in Veneto, per la precisione a Belluno, hanno fatto scattare l’alert per sospetto focolaio da “sindrome sgombroide”. Una intossicazione alimentare causata principalmente dal consumo di prodotti ittici contenenti alti livelli di istamina. È fondamentale dunque fare attenzione alla scelta del tonno che mettiamo sulle nostre tavole perché se è vero, come dimostrato da recenti studi, che il consumo di pesce fa bene alla salute e previene la comparsa di diverse patologie, è altrettanto vero che una conservazione e una lavorazione non corretta del prodotto può generare un rischio per la nostra salute. È importante, perciò, conoscere il pericolo per evitarlo.
Il nome deriva dai pesci appartenenti alla famiglia degli Scombridae. Ne fanno parte lo sgombro, il tonno, la sardina, l’acciuga e l’aringa, anche se nella maggior parte dei casi alle nostre latitudini i casi di intossicazione, da un punto di vista statistico, si rilevano per il consumo di tonno. A creare l’intossicazione è l’istamina generata da batteri mesofili. L’istamina non è presente al momento della pesca, ma si forma nella sua carne per decarbossilazione dell’aminoacido istidina mediante una reazione catalizzata dall’enzima istidina decarbossilasi che si trova in alcune specie batteriche all’interno dell’intestino o nella pelle del pesce. I batteri mesofili hanno una crescita ottimale tra i 30 e i 40 gradi centigradi e producono istamina solo a temperature superiori a 7-10°C, ma a seguito di abusi termici possono compiere la loro azione anche a temperatura ambiente. «Il deterioramento batterico e la produzione di istamina possono avvenire in ogni fase della filiera alimentare, perciò per prevenirne la formazione occorre mantenere una temperatura costante inferiore a 4°C – fanno sapere al dipartimento di prevenzione dell’Ulss Dolomiti -. Non solo, essendo l’istamina termostabile, la cottura e la sterilizzazione non servono a decontaminare il pesce, anche se occorre precisare che dopo la cottura il livello di istamina non può aumentare perché vengono inattivati enzima e batteri».
L’insorgenza dei sintomi può essere immediata o presentarsi qualche ora più tardi aver ingerito il cibo contaminato. Diverse le manifestazioni: dai sintomi cutanei piuttosto comuni, come rush cutaneo localizzato al viso e al collo seguito da una sensazione di intenso calore, orticaria, o edema facciale; ai sintomi gastrointestinali come diarrea, dolore addominale, nausea, vomito, bruciore, gonfiore alla bocca e alla lingua; sintomi emodinamici come vertigini fino a sintomi neurologici, dal mal di testa, alle palpitazioni, disturbi della vista, tremori, debolezza e sensazione di calore.
Se l’istamina è il fattore scatenante della sindrome, è altrettanto vero che diversi fattori ne influenzano gli effetti nocivi. A cominciare dalla sensibilità individuale alla stessa, al peso corporeo, alla composizione del pasto (alcol, verdure e formaggi), ai farmaci che riducono la motilità intestinale, antibiotici o antidolorifici; patologie come orticaria cronica, eczema atopico, problemi cardiaci, ipertensione, carenza di vitamina B6 e malattie gastrointestinali che riducono l’attività delle ossidasi. Infine, la sensibilità all’istamina aumenta con il fumo di tabacco.
«Raffreddare rapidamente il pesce dopo essere stato pescato è fondamentale per prevenire la formazione della sgombrotossina – spiegano al dipartimento di prevenzione dell’Ulss1 di Belluno -. Nelle ore successive è necessario poi un rigoroso rispetto della catena del freddo, fino alla cucina. Infatti, la produzione di istamina può essere causata dall’esposizione ad alte temperature del pesce che facilita la moltiplicazione batterica e la produzione di istamina decarbossilasi da parte dei batteri. Anche lo scongelamento del pesce, se pure conservato in maniera ottimale, può essere una fase a rischio. Infatti, diversi studi hanno dimostrato che 2 o 3 ore a temperatura uguale o superiore a 20° sono sufficienti perché il pesce produca quantità tossiche di istamina. Per scongiurare il pericolo è bene quindi mantenere il pesce a temperatura di 0° C o inferiori».
All’Ulss1 di Belluno dopo una settimana di analisi, il pericolo sembra essere fortunatamente scampato. Infatti, i controlli effettuati nelle ultime ore hanno scongiurato la presenza di nuovi casi, mentre le analisi sul tonno residuo prelevato nei ristoranti dove avevano pranzato i soggetti colpiti dai sintomi di avvelenamento, sono risultati negativi alla ricerca di istamina, a conferma di un verosimile evento occasionale. «Alla luce di ciò viene meno l’indicazione di non consumo di tonno fresco fornita la scorsa settimana» ha dichiarato Sandro Cinquetti, direttore del dipartimento di prevenzione dell’Ulss Dolomiti.
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