Le nuove frontiere della chirurgia plastica applicata ai traumi degli arti sarà uno dei temi al centro del 70° Congresso Nazionale della Società Italiana di Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica, a Napoli dal 6 all’8 ottobre
Ogni anno sono oltre 6 milioni gli accessi in Pronto Soccorso per traumi agli arti inferiori o superiori, che riguardano in maggioranza la fascia d’età dai 19 ai 40 anni (80%) e quella degli over 70 (65%). I casi gravi sono circa 350mila, di questi 1 su 3 avrebbe bisogno di un nuovo approccio che fonde ortopedia e chirurgia plastica. A questi pazienti, vittime di traumi gravi, se ne aggiungono almeno altri 300mila con patologie acute o croniche, dall’osteomielite ai tumori, che interessano gli arti comportando perdita di tessuti ossei e molli. Oggi per tutti questi pazienti una soluzione esiste grazie all’Ortoplastica, tra i temi al centro del 70° Congresso Nazionale della Società Italiana di Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica (Sicpre), a Napoli dal 6 all’8 ottobre.
La disciplina è un mix tra ortopedia e chirurgia plastica, una branca nuova e fondamentale della medicina per intervenire in molti casi di traumi ossei gravi: dall’incidente automobilistico o sul lavoro, all’infezione dopo un intervento di protesi a un’articolazione, fino in ambito oncologico quando un tumore colpisce il tessuto osseo. «Restituire a queste persone la funzionalità degli arti significa, oltre a dare una buona qualità di vita ai pazienti, anche diminuire i costi sociali connessi a queste patologie, che comprendono la riabilitazione ma anche la perdita di produttività che spesso si associa a un’amputazione in giovane età», osserva Francesco D’Andrea,
Direttore del Dipartimento di Chirurgia Plastica e Estetica della Federico II e Presidente del 70° Congresso della Sicpre.
«Si tratta di tradurre nell’approccio a traumi e a patologie che comportano la perdita di tessuto a livello degli arti ciò che già viene fatto nelle Breast Unit, quando contestualmente all’intervento per eliminare un tumore viene
garantita alla paziente la ricostruzione della mammella. In una Orthoplastic Unit il chirurgo ortopedico e il chirurgo plastico lavorano fianco a fianco e questo avviene soltanto in poche grandi aziende dove sono già presenti Unità di chirurgia plastica, tuttora poco diffuse. A oggi non esiste un censimento dei centri dove sia possibile sottoporsi a ortoplastica, così il nostro obiettivo è far sì che in tutto il Paese si costituisca un maggior numero di Unità
multidisciplinari specialistiche dedicate a questa strategia: realizzando un sistema a rete sarebbe possibile pensare almeno a centri di riferimento regionali in cui sia presente una chirurgia plastica, a cui possano rivolgersi le diverse ortopedie territoriali per garantire la migliore assistenza possibile a tutti coloro che abbiano necessità di un intervento di ortoplastica».
Sono dunque complessivamente almeno 650 mila gli italiani che ogni anno avrebbero bisogno di un approccio ortoplastico. «Traumi gravi agli arti superiori o inferiori, altre patologie come l’osteomielite, un’infezione dell’osso che si può sviluppare a seguito di traumi o anche dopo l’impianto di protesi articolari, o patologie croniche come i tumori, che possono attaccare i tessuti ossei e molli – conclude D’Andrea -, possono comportare una perdita consistente di tessuti, tale da poter obbligare ad amputazioni parziali o totali degli arti con una compromissione notevole della funzionalità e della qualità di vita: l’approccio ortoplastica potrebbe scongiurare tutto ciò». Tuttavia, ad oggi in Italia esistono ancora pochi centri specializzati in ortoplastica. Perciò, gli esperti lanciano un appello per aprire almeno negli ospedali principali del Paese nuove Orthoplastic Unit che, alla stregua delle Breast Unit, racchiudano gli specialisti necessari per offrire ai pazienti l’assistenza di cui hanno bisogno.
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