Le Rems, strutture di cura che hanno preso il posto dei manicomi giudiziari, create per curare e accogliere gli autori di reato giudicati infermi o seminfermi di mente, rischiano di trasformarsi in nuovi manicomi criminali. La denuncia della Società italiana di psichiatria
Le Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), strutture di cura che hanno preso il posto dei manicomi giudiziari, create per curare e accogliere gli autori di reato giudicati infermi o seminfermi di mente, rischiano di trasformarsi in nuovi manicomi criminali. Questi centri si stanno infatti riempiendo di persone che non dovrebbero essere lì. I giudici tendono a utilizzare le 31 Rems italiane come «parcheggio» di indagati sottoposti a misure di detenzione provvisoria, la cui infermità di mente non è stata ancora accertata oppure di detenuti con problemi psichiatrici sviluppati in carcere. Questa è la dura denuncia della Società Italiana di Psichiatria (SIP) contenuta in uno studio pubblicato sul Journal of Psychopathology e discusso in occasione del congresso nazionale in corso in questi giorni a Genova.
«Molti dei pazienti rinchiusi – spiegano Enrico Zanalda e Massimo di Giannantonio, coautori dello studio e co-presidenti SIP – non hanno una malattia psichiatrica certa e vengono ‘parcheggiati’ in attesa di giudizio in cui spesso il vizio di mente viene meno. Si tratta di detenuti assegnati alla REMS per disturbi di personalità antisociali, dipendenza da sostanze, marginalità sociale, che non vanno confuse con le malattie mentali che possono giovarsi di percorsi residenziali in strutture di cura. Così le REMS stanno diventando il contenitore di tutto ciò che il carcere non vuole, su cui si allunga l’ombra sinistra di un ritorno al passato. Fra i nodi irrisolti perizie viziate, richieste di invii inappropriati, riconoscimento disinvolto di pericolosità sociale che per l’infermità di mente andrebbe abolito».
«Le Rems sono strutture piccole, di massimo 20 persone, che fanno parte delle reti dei Dipartimenti di Salute Mentale, pensate come luoghi di cura e reinserimento, con ricoveri limitati nel tempo che dovrebbero essere destinati ad accogliere solo autori di reato giudicati infermi o seminfermi di mente, ma anche socialmente pericolosi e non adatti a soluzioni meno restrittive», spiegano Zanalda e di Giannantonio. «Dall’orrore dei manicomi si è passati ad un’eccellenza italiana unica al mondo che rischia invece di affondare non per i suoi demeriti ma per le questioni irrisolte della giustizia e della burocrazia italiana, tra cui anche la mancata riforma del codice penale», aggiungono.
«Sui 709 ospiti, considerati nello studio e ricoverati nelle 31 Rems distribuite sul territorio nazionale, oltre la metà – riferiscono Zanalda e di Giannantonio – sono destinatari di misure provvisorie, analoghe alla custodia cautelare in carcere. Una deriva rispetto allo spirito originario delle Rems che rischia di farle saltare facendo rientrare dalla finestra la logica degli ex manicomi criminali».
«In molti casi si tratta di detenuti non affetti da una patologia mentale conclamata – spiegano gli esperti – che vengono ‘etichettati’ come psichiatrici e assegnati alle Rems senza avere un’indicazione clinica. Persone che sottraggono posti a chi ne ha davvero bisogno e che dovrebbero andare in carcere o essere presi in carico da altri servizi sanitari e sociali. Cosi, ad esempio, si trovano insieme un paziente schizofrenico e pazienti con problemi di personalità antisociale, elementi di disturbo che compromettono l’efficacia e i risultati terapeutici. Da qui a riavvicinarsi più alla logica dei manicomi criminali che a quello della cura, il passo è breve».
Il numero abnorme inappropriato di assegnazioni alle Rems da parte dei giudici alimenta le liste d’attesa per entrare in queste strutture che suscitano allarme nella stessa magistratura, preoccupata per quei pazienti che poi non possono attendere in carcere di entrare nelle Rems. Da qui la necessità invocata dai giudici di aumentare il numero delle Rems, che per gli psichiatri invece non serve perché occorre utilizzare correttamente quelle già esistenti.
«Le persone in lista di attesa non sono ‘mostri in libertà’ che creano gravi problemi di ordine pubblico – rassicurano gli esperti –. A dimostrarlo c’è l’alto numero di misure di sicurezza che vengono ‘trasformate’ dal giudice durante la permanenza in lista di attesa. Tale trasformazione segnala che una soluzione diversa dalla Rems sarebbe stata possibile fin dall’inizio, smentendo ogni rischio di allarme sociale ed evitando di allungare le liste di attesa». Concludono: «Per risolvere i nodi descritti sopra non servono quindi più posti disponibili o più Rems ma una revisione del codice penale e una corretta assegnazione alle strutture di cura, oltre a investimenti nei Dipartimenti di Salute Mentale per i pazienti da prendere in carico prima o dopo le Rems».
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