Lo specialista: «A seguito di un ictus, alcune persone sviluppano la lesione cerebrale più lentamente, altre più rapidamente. Quella che un tempo veniva definita “finestra temporale”, oggi si chiama “finestra tissutale”, poiché ogni tessuto celebrale è diverso da un altro»
Pochi minuti possono preservare l’autonomia individuale e, nei casi peggiori, addirittura fare la differenza tra la vita e la morte. «Ictus significa colpo – dice Massimo Del Sette, direttore dell’U.O.C. di Neurologia al Policlinico San Martino I.R.C.C.S. di Genova -. Ed è con la stessa tempestività di un colpo che si presenta». Per questo, anche per l’edizione 2022 della Giornata mondiale dell’Ictus i riflettori sono puntati sull’orologio: “Minutes can Save Lives” è lo slogan scelto e #PreciuosTime l’hashtag con cui la campagna viaggia sui social.
Ma attenzione: le lancette non scorrono alla medesima velocità per tutti. «Il tempo massimo entro il quale bisogna intervenire è un tempo soggettivo. Alcune persone sviluppano la lesione cerebrale più lentamente, altre molto più rapidamente – spiega Del Sette -. Anche se, oggi, quella che un tempo veniva definita “finestra temporale”, ovvero quel lasso di tempo entro il quale i trattamenti hanno effetto, si chiama “finestra tissutale”, poiché ogni tessuto celebrale è diverso da un altro. Ed al variare del tessuto, cambia anche la tempestività con cui può lesionarsi».
Ma, al di là delle singole peculiarità del paziente, ogni minuto resta prezioso. «Ogni minuto guadagnato, in termini di intervento precoce, è quantificabile in circa 2 milioni di neuroni che vengono salvati», dice il neurologo. Ma cosa vuol dire concretamente salvare milioni di neuroni? «I neuroni permettono al cervello di compiere tutte le sue attività, in primis il movimento. Di conseguenza – spiega Del Sette – preservare dei neuroni sani vuol dire sviluppare, in seguito ad un ictus, una disabilità minore, che si traduce in una migliore qualità della vita. Risparmiando tempo si risparmiano neuroni e si guadagnano autonomia e una qualità di vita migliore».
Per questo, è fondamentale riconoscere presto i segni dell’ictus. «I sintomi principali sono: un braccio o una gamba più debole dell’altra, la bocca storta da un lato, difficoltà nel linguaggio. Alla presenza anche di uno solo di questi sintomi, è molto probabile che nel 70% dei casi ci troveremo di fronte ad un ictus», sottolinea lo specialista. Chiamare i soccorsi è sempre meglio che recarsi autonomamente in ospedale. «È necessario che il paziente arrivi in una struttura sanitaria attrezzata, dotata di “Stroke Unit”, ovvero le Unità specializzate nel trattamento dell’Ictus», sottolinea il neurologo.
«In questi anni abbiamo assistito ad una grande rivoluzione del trattamento dell’ictus, sia emorragico, che si presenta in circa il 20% dei casi, che dell’ictus ischemico. In particolare – commenta Del Sette – nell’ictus ischemico, causato da un’occlusione di un vaso sanguigno che porta il sangue al cervello, abbiamo la possibilità non solo di intervenire con dei farmaci specifici, ma anche attraverso tecniche di neuroradiologia interventistica, introducendo uno strumento che rimuove meccanicamente il trombo. Sono due i fenomeni che hanno rivoluzionato le tecniche di trattamento: da un lato l’ampliamento del numero di soggetti candidabili all’utilizzo di queste terapie, in particolare grazie a diagnostiche avanzate, come le tac perfusionali che consentono di capire che cosa sta avvenendo momento per momento nel cervello della persona affetta da ictus, dall’altro l’immissione sul mercato di strumenti sempre più sottili che consentono di andare a “catturare” il trombo anche in vasi più distanti e di calibro molto piccolo».
L’ictus è la seconda causa di morte e la prima di disabilità tra gli adulti che vivono nei Paesi occidentali. «In Italia si calcola che 150 mila persone all’anno, soprattutto over 65, siano colpite da ictus. Nella donna, purtroppo, si presenta con una maggiore aggressività e porta quindi, generalmente, ad una disabilità più grave. Negli ultimi anni – aggiunge lo specialista – stiamo assistendo all’emergere di un aumento di casi anche nelle fasce di età più giovani. Ma ciò non deve destare nessun allarmismo: perché in giovane età l’ictus resta comunque una patologia rara».
Ma se è vero che l’ictus si presenta all’improvviso, come un colpo appunto, è altrettanto vero che può essere evitato. «I fattori di rischio che creano le precondizioni di un ictus si sviluppano molti anni prima, per cui bisogna identificarli e curarli. Alcuni riguardano gli stili di vita, come il fumo, la sedentarietà, l’alcol, l’obesità, altri sono legati a delle vere e proprie patologie, come ipertensione, diabete, fibrillazione atriale. Rimuovere questi fattori di rischio – conclude Del Sette – potrebbe far calare il numero di vittime del 70%».
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