In occasione della Milano digital Week confronto tra protagonisti di design, Ai e digitale sull’impiego in sanità. Dalle app che dialogano con i pazienti, ai software che fanno interagire le strutture sanitarie, ma resta aperto il quesito sul consenso dei dati
L’intelligenza artificiale conquista l’Healthcare, in particolare nel settore farmacologico dove i capitali privati investiti superano i 14 miliardi di dollari, anche se non in tutti i paesi occidentali esiste una applicazione uniforme. Andando ad analizzare i singoli dati, infatti, emerge che tra Europa, Stati Uniti e Cina esiste un gap nell’impiego dell’AI (Artificial Intelligence), specie in sanità. In Italia i progetti applicativi di intelligenza artificiale nella sanità sono diversi, così come i centri di eccellenza dove si incentiva la collaborazione tra ricerca e tecnologia, ma tanti sono ancora i quesiti aperti.
Migliorare diagnosi e cura attraverso l’intelligenza artificiale è possibile se tutti gli attori lavorano in sinergia. Si tratta di un’attività che deve coniugare l’esigenza del paziente, dell’azienda e del personale sanitario, tenendo conto dei rischi che possono nascondere le nuove tecnologie. Di questo e di molto altro si è parlato durante la Milano Digital Week, nell’incontro organizzato da Design Group Italia in collaborazione con Alkemy, società specializzata nell’evoluzione digitale. «Il punto di partenza è la progettazione – ha spiegato Andrea Deslato, Digital Project Design Director di Design Group Italia – nella quale si tiene traccia di tutte le interazioni tra pazienti, medici e infermieri per far sì che le tre anime del progetto collaborino in modo stretto, a quel punto si creano le soluzioni tecnologiche e ogni nozione data all’utente deve essere certificata».
Un controllo che deve essere fatto prima di un intervento, durante e successivamente, tenendo traccia di tutti i dati in modo maniacale. «Avere un dataset completo significa in breve tempo sapere caratteristiche e storia di un paziente in modo da definire la diagnosi e predire grazie ad un algoritmo eventuali rischi sanitari futuri – ha aggiunto Giuseppe Primiero, professore associato di Logica e Filosofia della scienza presso l’Università Statale di Milano -. Grazie a delle app è già possibile con semplici domande rivolte al paziente conoscere lo stato di salute e indirizzarlo verso uno specialista per un visita quando si rilevano dei fattori di rischio».
L’intelligenza artificiale nell’Healthcare ha quattro macroaree di sviluppo affinché medico e paziente possano interagire, beneficiando di queste proprietà:
«Si sa che sistemi basati sull’intelligenza artificiale possono aiutare a visionare cose che altrimenti sfuggirebbero all’occhio umano, ma è importante che il sistema riesca a mitigare i rischi – ha evidenziato Davide Posillipo, Lead Data Scientist Alkemy -, che ci sia robustezza informatica perché occorre limitare il rischio di rottura del sistema e far sì invece che funzioni sempre. Quello che si sta pensando di fare è sviluppare un controllo che dica se ci sono fattori di rischio, piccoli moduli che se attivati possano prevenire i problemi da un punto di vista medico ma anche sociale».
Stabilito che l’impiego dell’intelligenza artificiale nell’Healthcare permette di migliorare diagnosi e cure, occorre capire come gestire i dati. «Questo è uno scoglio non ancora del tutto superato – ha ammesso Cristina Gentile, legal affair manager di Alkemy -. Centrale è il consenso dei pazienti che deve essere fornito a priori e per la finalità del trattamento». Se il dato è stato fornito per finalità di cura, quindi, non può essere utilizzato ad esempio per la ricerca senza un nuovo consenso. «L’altro grande tema è la revoca del consenso che il GDPR prevede, ma che è di difficile interpretazione – ha aggiunto –. I giuristi spesso si sono interrogati sul tema. Il regolamento europeo è stato rinnovato nel 2021 e risponde ad una serie di quesiti. Parlando di completezza dei dati cerca di garantire il più possibile il sistema, ma deve esserci sempre alla base un controllo umano perché ha una sensibilità diversa dall’algoritmo. Ci sarà sempre una attività interpretativa aperta pronta a recepire quelli che sono i cambiamenti della tecnologia e in quest’ottica si declina una revisione delle professioni indotta dalla tecnologia».
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