di Flavia Franconi, Monica Bettoni, Ilaria Campesi
Anche quest’anno al Risk Forum Management di Arezzo si parla di quella dimensione della medicina nota come medicina di genere ma che, come sostengono molti autorevoli esperti di tutto il mondo, sarebbe meglio denominare medicina basata sul sesso e sul genere.
Quest’anno, nel simposio: “Il sesso-genere nelle malattie infettive: una visione globale” viene affrontato un tema che la recente pandemia ha posto in maniera imperiosa sotto i nostri occhi. Il simposio, promosso dalla “Commissione Sanità e Politiche Sociali del Consiglio Regionale Toscana e dalla Toscana delle Donne: la ragione del valore” affronta questi temi anche per superare le diseguaglianze e promuovere approcci sensibili al sesso e al genere.
L’approccio sesso-genere in medicina nasce dalle battaglie femministe degli anni Settanta – per poi organizzarsi e strutturarsi negli anni Novanta del secolo scorso- quando sul New England Journal of Medicine, una delle più prestigiose se non la più prestigiosa rivista di medicina, fu pubblicato l’editoriale “Yentl Sindrome”, che mostrava in maniera inequivocabile le disparità di trattamento tra uomini e donne in cardiologia. Tale articolo, che prende il nome da un racconto di Isaac B. Singer, in maniera incontrovertibile, mostrava il maschilismo della medicina.
Purtroppo, nonostante le raccomandazioni, le norme e le leggi, due recenti survey ed alcuni articoli pubblicati su riviste internazionali hanno evidenziato che, fino ad adesso, sono stati fatti pochi progressi nel campo della medicina sex and gender based. In particolare, una di queste evidenzia che, nonostante che si sia avuto un incremento del 30% nel numero dei manoscritti che includevano uomini e donne, solo il 19% di questi aveva un disegno sperimentale appropriato per le ricerche di sesso-genere e solo il 5% analizzava il sesso-genere come variabile indipendente, valore che nel 2009 era il 2% (Rechlin et al 2022). La seconda evidenzia che su 11 aree terapeutiche, in 7 di esse, quali HIV/AIDS, malattie renali corniche, malattie cardiovascolari etc., vi è ancora un sotto-arruolamento delle donne. Tale sotto-arruolamento è leggermente inferiore, a quello riscontrato prima del 1993 (quando le donne negli USA erano escluse dagli studi clinici) [Feldman et al 2019). Alcuni autori evidenziano che solo in farmacologia sono significativamente aumentati gli studi che includono la variabile sesso-genere tra il 2009 ed il 2019 (Woitowich et al 2020).
Anche in una malattia che da subito ha mostrato l’importanza del sesso e del genere come il Covid-19, questa variabile è stata sottovalutata. Infatti, su 4.420 studi sul Covid-19 registrati sul sito ClinicalTrials.gov, tra il 1° gennaio 2020 e il 26 gennaio 2021, alcuni autori hanno osservato che il 21,2% si limita a riportare il sesso e il genere solo nella fase di reclutamento, il 5,4% sottolinea la variabile sesso/genere anche in altre fasi, ma solo il 4% la include come variabile analitica (Brady et al 2021). Gli stessi autori evidenziano anche che solo il 17,8% dei lavori pubblicati riporta i dati stratificati o fa analisi di sottogruppo.
Tuttavia, anche se finora abbiamo parlato solo delle donne, dobbiamo precisare e sottolineare con forza che la medicina basata sul sesso e genere non è la medicina delle donne ma è la medicina di tutte le persone compresa la popolazione che non si riconosce in una dimensione sessuale binaria. È insomma la medicina della diversità, che nel nostro paese viene ancora considerata spesso un fattore negativo, e che invece è ricchezza.
Infine, le autrici di questo articolo sostengono che oltre ad essere la medicina di tutti, la medicina di sesso e genere ha un altro punto di forza perché va oltre il corpo, considerando l’ambiente in cui una persona vive, la sua cultura, il suo stato socioeconomico, di cui troppo spesso ci si dimentica e che invece è un fattore importante per la prevenzione e per l’insorgenza di malattie infettive e delle malattie cronico-degenerative come diabete, obesità, infarto del miocardio e così via. In questo senso, l’approccio di genere è un approccio olistico.
L’approccio di genere è dunque un approccio multidisciplinare: comprende il sistema sanitario e il sistema sociale, e deve coinvolgere tutte le componenti di una collettività, dalla medicina all’architettura, dalla filosofia all’economia. Perché se vogliamo costruire una salute ed una medicina basata sul sesso e genere è necessario costruire un mondo che sia più a misura di tutti e ciò, ovviamente, richiede un cambio di mentalità.
In questo simposio coordinato da Monica Bettoni e da Mojgan Azadegan sarà presente Stefano Vella: uno dei maggiori ricercatori nel campo dell’AIDS, che fra l’altro è anche uno dei padri della medicina di genere italiana avendo curato il libro “Farmacologia di Genere” pubblicato nel 2010 da Seed Torino e essendo stato il coordinatore del progetto strategico “La medicina di genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica: l’appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna” realizzato nel 2007. Il prof. Vella, ora all’Università cattolica, parlerà dell’influenza del genere sulle malattie virali nel contesto mondiale. A seguire, il dott. Fabrizio Gemmi, dell’Agenzia Regionale della Toscana, analizzerà i dati epidemiologici della Toscana relativamente alle malattie infettive mettendosi le lenti del sesso-genere. Mentre la professoressa Anna Teresa Palamara, una grande conoscitrice dei microrganismi, dell’Istituto Superiore di Sanità, parlerà di come agiscono i virus in funzione del genere dell’ospite, mentre la prof. Valeria Raparelli dell’Università di Ferrara e componente del Centro Universitario di Studi sulla Medicina di Genere dell’Università di Ferrara si concentrerà sulle differenze nella presentazione e nell’impatto delle malattie infettive dell’uomo e della donna. Successivamente, la prof.ssa Amelia Filippelli dell’Università di Salerno e componente del Comitato Prezzi e Rimborso (CPR) dell’Aifa ci parlerà dei farmaci antivirali, mettendo in luce le differenze di efficacia e di sicurezza dei medicinali tra uomini e donne (Conti et al, 2022) e la popolazione che non si riconosce in una dimensione sessuale binaria, quando possibile visto il cronico sotto arruolamento di questa ultima sottopopolazione.
Il cronico sotto-arruolamento delle donne si accompagna a uno scarso reclutamento di animali femmina e a esperimenti su cellule in cultura, come se queste non fossero XX e XY, rendendo così difficile scoprire le differenze farmacodinamiche. Un fenomeno, quello del cosiddetto “sex-gender bias”, sempre più dibattuto tra i farmacologi, anche in vista delle problematiche metodologiche che esso crea (Franconi et al, 2019).
Infine, la Dott.ssa Elena Ortona, Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità, parlerà del long Covid. Il long COVID è una sindrome che insorge dopo più di 4 settimane l’infezione da SARS-CoV-2 e che persiste per settimane o mesi dopo la guarigione da COVID-19. Essa presenta un quadro clinico che può variare da paziente a paziente. La Dott.ssa Ortona si concentrerà su come questa sindrome sia influenzata dal genere.
Quindi durante il Risk Forum Management si parlerà delle suddette tematiche per aumentare la consapevolezza dell’importanza della variabile sesso-genere, in maniera che sempre più siano implementate la salute e la cura che, abbandonando l’androcentrismo dominante, mettano al centro la persona, e ciò non può avvenire senza considerare il sesso-genere (Campesi et al, 2021).
È nostra opinione che non vi possa essere una medicina personalizzata se si considera solo il corpo biologico, perché le esperienze della vita, lo modificano profondamente (come non pensare, ad esempio, alle modificazioni indotte dallo stress su tutti i parametri della farmacocinetica – Campesi et al 2021; Franconi et al 2019) pertanto è giunta l’ora che esso sia preso nella giusta considerazione.
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