Le donne che ricevono una diagnosi di cancro non hanno la voglia, o meglio la forza, di pensare al sesso. La loro sensibilità al piacere è ridotta. Le cicatrici, i cambiamenti corporei gli impediscono di vivere liberamente la sessualità. È emerso dall’indagine sulla qualità della vita delle donne con tumori ginecologici realizzata dalla Associazione Pazienti ACTO
«All’inizio il sesso non era nemmeno nei miei pensieri, quando il ginecologo mi disse di non avere rapporti sessuali per 60 giorni, rimasi perplessa. Pensai: non riesco nemmeno a stare dritta, il sesso non ritornerà mai nella mia vita, un argomento chiuso per sempre». Questa è la testimonianza di Cristina, una delle oltre cento pazienti che ha partecipato all’indagine sulla qualità della vita delle donne con tumori ginecologici, realizzata dalla Associazione Pazienti ACTO (Alleanza Contro il Tumore Ovarico).
Le donne che ricevono una diagnosi di cancro non hanno la voglia, o meglio la forza, di pensare al sesso. La loro sensibilità al piacere è ridotta. Le cicatrici, i cambiamenti corporei gli impediscono di vivere liberamente la sessualità. «Il quadro è emerso dall’indagine Acto Sicilia che si è focalizzata su quattro aree: immagine corporea, benessere soggettivo, sessualità e trasformazione e cambiamento della propria vita, aree strettamente interconnesse tra loro», spiega Sonia La Spina, psico-oncologa del dipartimento di Oncologia Medica dell’Ospedale Cannizzaro di Catania.
In base alla ricerca, per quasi 6 donne su 10 l’ambito della vita che ha risentito maggiormente della malattia è quello personale, seguito dall’ambito familiare (27,5%) e da quello professionale (12,7%). Per oltre la metà delle donne intervistate la malattia modifica abbastanza la percezione corporea (53,9%), mentre una su tre ritiene che tale modifica incida moltissimo (28,4%) e il 17,6% ritiene che l’immagine non cambi per nulla. Significativa la percentuale di donne, l’86,3%, che confessano di sentirsi diverse: per un’intervistata su tre questa sensazione arriva al punto da avere difficoltà a riconoscersi allo specchio.
«Non solo l’evento oncologico, ma i trattamenti che ne seguono solitamente influiscono negativamente sul buon funzionamento sessuale della donna e della coppia – commenta La Spina -. Tuttavia, oggi, è possibile suggerire un trattamento integrato, magari interdisciplinare, che è capace di recuperare e di migliorare la qualità di vita della persona. Laddove non è possibile utilizzare ormoni, alternative efficaci con sostanze non ormonali possono essere adottate, integrate a terapia psicosessuale». Nonostante le difficoltà del lungo percorso di guarigione, la resilienza si dimostra una capacità diffusa: «Quasi il 60% delle intervistate definisce il proprio umore discreto – continua la psico-oncologa -. Il 26,5% buono e solo il 15,7% ammette di sentirsi di umore depresso. L’emozione che prevale rispetto alla malattia è, per il 45,8%, soprattutto l’accettazione, seguita dalla rabbia per il 23,4% e dall’incredulità per il 22,4%».
La comunicazione medico-paziente è generalmente buona, 4 donne su 10 la definiscono ottima. Ma tra gli argomenti trattati la sessualità resta un tabù: «Chiedere qualcosa sulla sessualità, raccontare che non riesco a provare piacere mi sembrava fuori luogo, il medico continuava a ripetermi che sono una miracolata. Mi sono sentita inopportuna di fronte a questa frase e ho preferito tacere sulle mie problematiche sessuali che hanno paralizzato la nostra vita intima», racconta Ilenia. Parole confermate anche dall’indagine ACTO: le pazienti ripetutamente affermano di provare «senso di colpa» e di sentirsi inopportune nel chiedere informazioni sul benessere sessuale. Spesso, quindi, la paziente non sa e non chiede perché si sente in dovere di apparire grata alle cure mediche e non pensare ad altro.
Oltre il 60% delle donne ha ammesso di non essere state informata affatto dal proprio medico curante dei cambiamenti che avrebbero investito la propria vita sessuale. Quasi tutte le donne ricordano soltanto il divieto di avere rapporti sessuali dopo l’intervento per 60 giorni. Chi invece non ha ricevuto informazioni specifiche si è sentita in dovere di rimandare il benessere sessuale per tanto tempo.
«Eppure – aggiunge La Spina – è ancora scarsamente diffusa la consapevolezza dell’importanza di una figura di riferimento come quella del sessuologo clinico. Solo il 31,4% delle donne ammette che tale figura potrebbe offrire una consulenza utile. C’è tanto da lavorare ancora, ma questi dati rappresentano un punto d’inizio, affinché la sessualità venga considerata a pari delle altre dimensioni parte integrante del benessere totale – aggiunge la psico-oncologa -. Le terapie oncologiche oggi consentono alle pazienti affette da carcinoma ovarico di raggiungere risultati in termini di beneficio clinico insperati rispetto al passato. Proprio per questo l’impegno dell’oncologia deve essere quello di promuovere tutte le condizioni che consentano un miglioramento della qualità della vita, ponendo attenzione ai dettagli della vita e cercando – conclude La Spina – di trovare il corretto intervento in alleanza con le associazioni di pazienti».
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