Il presidente del comitato scientifico ISDE, internista al Policlinico di Bari, spiega: «In alcuni casi sono stati documentati effetti anche per concentrazioni di particolato al di sotto dei limiti di legge». L’unica soluzione è ridurre il livello di inquinanti: «Diete e stili di vita corretti sono importanti ma non sempre bastano». Le particelle sotto accusa sono le più piccole, le Pm 2,5
Non solo polmoni e malattie respiratorie. I danni dell’inquinamento atmosferico sull’organismo umano possono andare oltre l’organo bersaglio, tradizionalmente individuato nei polmoni. «Evidenze ormai solide – spiega Agostino Di Ciaula, presidente del Comitato scientifico ISDE e internista presso la Medicina Interna universitaria “A.Murri” del Policlinico di Bari – dimostrano strette relazioni causali tra esposizioni involontarie a inquinanti atmosferici e patologie estremamente diffuse come le dislipidemie aterogene, la cardiopatia ischemia e le malattie cerebrovascolari».
Mentre le ormai note Pm10 sono le particelle di particolato più insidiose per i polmoni, per la malattia aterosclerotica sono più insidiose le particelle più piccole, le Pm2.5: «Da tutti gli studi epidemiologici a disposizione sappiamo che questo effetto, che si evidenzia soprattutto nel medio e lungo termine, è proporzionale: più alto è il livello di concentrazione, più elevato è il rischio aterogeno».
Purtroppo, individualmente possiamo fare ben poco per difenderci da questo rischio: occorre ridurre il livello di inquinamento. «In alcuni casi sono stati documentati effetti anche per concentrazioni al di sotto dei limiti di legge e non abbiamo ancora chiara l’idea di una soglia al di sopra della quale il particolato possa essere dannoso in senso aterogeno» spiega ancora Di Ciaula che poi mette in guardia dal rischio inceneritori: «Il potere di filtrazione che hanno questi tipi di impianti contribuisce a ridurre la concentrazione delle particelle ma purtroppo non sono in grado di ridurre in maniera significativa l’emissione del nanoparticolato, quelle ultrafini anche inferiori a Pm2,5».
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«I rapporti tra inquinamento atmosferico e arteriosclerosi non sono una novità assoluta. Il primo lavoro che ha messo in relazione le due cose, risale addirittura al 1977. Gli autori di quel lavoro identificavano la relazione anche in maniera abbastanza chiara ma in quel momento non erano in grado di spigare dal punto di vista fisiopatologico la relazione. Abbiamo dovuto aspettare diverso tempo: le spiegazioni stanno arrivando negli ultimi 15 – 20 anni. Adesso è stata confermata questa relazione e abbiamo dei solidi studi sia di tipo epidemiologico sia di tipo sperimentale che hanno chiarito con quali meccanismi tutti gli inquinanti atmosferici ma soprattutto il particolato promuove e aggrava l’arteriosclerosi».
«L’inquinante più coinvolto è soprattutto il particolato fine, le Pm 2,5, quelle più studiate, ma anche gli inquinanti gassosi, soprattutto gli ossidi di azoto. Ci sono numerosi studi epidemiologici che hanno documentato una relazione tra l’inquinamento atmosferico in ampie coorti e fenomeni tipici dell’arteriosclerosi come l’ispessimento medio intimale, la calcificazione dell’aorta, ecc. Praticamente da tutti gli studi epidemiologici a disposizione sappiamo che questo effetto, che si evidenzia soprattutto nel medio e lungo termine, è proporzionale: più alto è il livello di concentrazione, più elevato è il rischio aterogeno. Gli effetti si vedono anche per basse concentrazioni di Pm 2,5: in alcuni casi sono stati documentati effetti anche per concentrazioni al di sotto dei limiti di legge e non abbiamo ancora chiara l’idea di una soglia al di sopra della quale il particolato possa essere dannoso in senso aterogeno».
«Chiaramente i polmoni sono un organo bersaglio, ma sono l’organo bersaglio preferito delle fonti più grossolane di particolato, soprattutto del Pm 10. Oggi sappiamo che non c’è nessun apparato che sia risparmiato dall’inquinamento atmosferico. Sappiamo bene, lo abbiamo imparato negli ultimi due decenni, che c’è anche una relazione con le malattie cardiovascolari, con il cancro, ma anche con altre patologie come le patologie metaboliche, l’obesità, le malattie neurodegenerative, le alterazioni della gravidanza, malattie gastrointestinali. Il pannello di malattie acute e croniche per inquinamento atmosferico è diventato molto ampio».
«Sono le frazioni più piccole del particolato che si genera in seguito a processi di combustione. Qualunque tipo di processo di combustione determina inquinanti e per alcuni anche il particolato. È tutto ciò che di solido rimane dopo i processi di combustione. Un’altra fonte significativa che spesso dimentichiamo sono le emissioni di ammoniaca, uno degli inquinanti più insidiosi perché di fatto non esistono livelli di ammoniaca fissati per legge. Nel nostro Paese le emissioni di ammoniaca provengono prevalentemente dal settore agricolo e dagli allevamenti intensivi, da lì si genera almeno il 50% del particolato».
«Intanto è importante aver capito le relazioni. Adesso sappiamo che il colesterolo alto, i trigliceridi alti possono non dipendere soltanto dalle cosiddette abitudini voluttuarie come alimentazione e stili di vita. Questi continuano a svolgere un ruolo importante, non dobbiamo mai stancarci di raccomandare ai nostri pazienti modelli di dieta e attività fisica, ma adesso sappiamo che c’è anche altro che non dipende dalla volontà. Quello che possiamo fare in realtà è poco perché mentre le abitudini voluttuarie dipendono da decisioni individuali, la riduzione dell’esposizione all’inquinamento atmosferico è una forma di prevenzione primaria che prescinde dalla volontà dell’individuo. Dobbiamo ridurre i livelli di inquinamento atmosferico, non c’è altra via».
«Ci sono degli studi che testimoniano che la dieta e l’attività sportiva riescono a ridurre il rischio cardiovascolare e aterogeno ma in presenza di elevati livelli di inquinamento questo non viene completamente annullato. Per cui dobbiamo continuare a fare attività fisica ma dobbiamo anche ricordarci che è necessario fare tutto il possibile per ridurre i livelli di inquinamento atmosferico».
«Gli inceneritori, perché questo è il nome corretto, comunque sono impianti industriali finalizzati alla combustione, quindi generano particolato e inquinanti gassosi. Generano una serie interminabile di inquinanti atmosferici. Per quanto riguarda il particolato il potere di filtrazione che hanno questi tipi di impianti contribuisce a ridurre la concentrazione delle particelle ma purtroppo non sono in grado di ridurre in maniera significativa l’emissione del nanoparticolato, quelle ultrafini anche inferiori a Pm2,5, come le Pm1, con diametro inferiore al micron che sono le più insidiose in assoluto. La pericolosità biologica del particolato è inversamente proporzionale al loro diametro. Quanto più piccole sono le particelle tanto più sono pericolose, riescono a saltare tutti i filtri dell’organismo. Il particolato veicola una serie di inquinanti come i metalli pesanti ma contribuiscono in maniera significativa all’emissione di inquinanti gassosi».
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