Circa 300 mila persone in Italia convivono con la malattia di Parkinson, un numero destinato a crescere nei prossimi anni, mentre l’età di insorgenza dei primi sintomi si abbassa a 40/50 anni. Per rallentare la malattia, diversi studi hanno dimostrato come la fisioterapia porti miglioramenti non solo motori, ma anche neurologici
In Italia sono circa 300 mila le persone affette da malattia di Parkinson secondo i dati resi noti dalla fondazione LIMPE per il Parkinson Onlus e, se si considerano anche i caregiver, è una malattia che interessa circa un milione e trecento mila persone con una incidenza che riguarda un’età media che si sta abbassando sempre più tanto che oggi la malattia interessa anche persone di 40 e 50 anni. Cresce dunque il numero dei malati mentre si abbassa l’età media di chi manifesta i primi sintomi, due fattori che hanno richiamato l’attenzione di medici e ricercatori. Studi nazionali e internazionali hanno dunque individuato nella fisioterapia un ruolo strategico come parte integrante delle terapie farmacologiche e chirurgiche per la malattia di Parkinson, al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Secondo uno studio svedese realizzato su 43mila soggetti sani, l’esercizio fisico costante riduce il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson, in particolare l’uso del tapis roulant migliora il cammino, come confermato anche in studi tedeschi e danesi, mentre modificare gli esercizi muta l’eccitabilità della corteccia motoria, il volume della materia grigia e aumenta i livelli di un importante fattore di crescita dal quale dipende la salute dei neuroni cerebrali. «Negli ultimi anni il ruolo della ricerca è stato determinante – sostiene Elisa Pelosin, professore associato presso l’Università degli Studi di Genova e presidente del comitato tecnico scientifico A.I.F.I (Associazione Italiana di Fisioterapia) – per verificare che quanto fatto tramite la riabilitazione porta non solo benefici motori, come il miglioramento del cammino o la riduzione delle cadute, ma che questo determina dei cambiamenti nella neuroplasticità a livello del sistema nervoso centrale. Si tratta di modifiche legate proprio all’apprendimento motorio. Quindi l’idea è di dimostrare, e i dati confortano le tesi dei fisioterapisti, che i cambiamenti non sono solo da un punto di vista fisico, ma anche neurologico».
Anche l’Italia ha contribuito con diversi studi ad accreditare il ruolo della fisioterapia per rallentare la progressione della malattia di Parkinson. Tra i più significativi i lavori realizzati negli anni scorsi a Gravedona (Co) dove uno studio su 237 pazienti ha dimostrato che i malati di Parkinson quando sottoposti a fisioterapia intensiva non hanno bisogno di aumentare le dosi di terapia farmacologica anche nei dodici mesi successivi all’attività, mentre su 439 soggetti suddivisi in tre gruppi a seconda della compromissione delle funzioni cognitive mentali, la fisioterapia ha migliorato le condizioni di tutti i soggetti, anche in coloro con maggiore compromissione delle funzioni cognitive. Infine, analizzando la qualità della vita dei pazienti sottoposti a fisioterapia intensiva prima del ricovero, a un mese e a tre mesi, sono apparsi evidenti i benefici immediati, ma anche a lungo termine. «In passato l’approccio era di trattare il paziente con Parkinson solo quando i sintomi erano evidenti. Oggi la fisioterapia ha acquisito un nuovo ruolo – fa notare Pelosin –: è diventata parte integrante delle terapie farmacologiche e chirurgiche per combattere la malattia, in questo modo è possibile migliorare la qualità della vita dei pazienti e rallentare la progressione dei sintomi».
Negli ultimi tempi la medicina di precisione è diventata poi un prezioso alleato per un approccio terapeutico nuovo. «Le strategie che si possono usare nei pazienti affetti da Parkinson sono molte e diverse, pertanto, i fisioterapisti dopo aver acquisito una grande conoscenza delle evidenze scientifiche e studiato le capacità motorie e cognitive del paziente sono in grado di creare una medicina di precisione con trattamento riabilitativo personalizzato che verrà modificato e modulato nei diversi stadi della malattia. Da non confondere però l’attività motorie che un paziente può compiere durante la giornata, come fare le scale o camminare, dall’esercizio terapeutico fisioterapico che ha lo scopo di agire su sintomi specifici come i disturbi dell’equilibrio, del cammino o sul freezing che è un fenomeno molto particolare della malattia che necessita di un trattamento che può dare il fisioterapista. Importante è che le due attività non vengano scisse e per questo occorre indicare ai pazienti sia l’attività fisica che la fisioterapia per il processo di cura».
Due anni di pandemia hanno influito anche nelle cure destinate ai malati di Parkinson, in particolare hanno allargato le modalità di condivisione delle terapie con i pazienti grazie alla telemedicina. «Il Covid ci ha insegnato che è importante utilizzare questi nuovi strumenti per poter mantenere nel tempo le cure – conclude la Presidente del comitato tecnico scientifico di A.I.F.I -. In particolare, per il paziente con Parkinson, oltre alla possibilità di fare un percorso in presenza con il fisioterapista esiste oggi la soluzione on line che permette di fare esercizi quotidiani e mantenere i benefici nel tempo».