L’Istituto superiore di sanità ha diffuso una guida con le raccomandazioni per la gestione dei pazienti affetti da Long Covid con lo scopo di contribuire a standardizzare le attività dei centri clinici sul territorio nazionale
Una guida con le buone pratiche per la diagnosi e gestione del Long Covid, in modo da uniformare la presa in carico del paziente in tutti i centri specializzati nella sindrome post-infezione che si trovano in Italia. A realizzarla è stato l’Istituto superiore di sanità (Iss) nell’ambito del progetto CCM dal titolo «Analisi e strategie di risposta agli effetti a lungo termine dell’infezione Covid-19 (Long-COVID)», finanziato dal ministero della Salute. «A tre anni dall’inizio della pandemia da Sars-CoV-2 appare ormai chiaro che per un numero importante di persone colpite da Covid-19 – spiega l’Iss – le manifestazioni cliniche non si esauriscono nelle prime settimane della fase acuta sintomatica, ma possono prolungarsi con un eterogeneo complesso di manifestazioni cliniche subacute e croniche che precludono un pieno ritorno al precedente stato di salute, che vanno sotto il nome di ‘Long-Covid’».
Nelle diverse sezioni del testo «sono riportati quesiti clinici che ci si è proposti di affrontare, con la finalità di migliorare la pratica clinica e la qualità delle cure offerte al paziente con Long Covid», spiega l’Iss. Tra le domande presenti, quella dedicata a chi deve valutare il paziente con sospetto condizioni di Long Covid. Secondo l’Iss è il «Medico di Medicina Generale (MMG) o il Pediatra di Libera Scelta (PLS) a rappresentare le figure che per prime valutano il paziente», specificando che «nei pazienti con precedente ospedalizzazione per Covid-19 può essere prevista una valutazione di screening per i sintomi Long Covid svolta dal medico di medicina generale o pediatra o in centri specialistici. Visite e procedure diagnostiche successive vengono programmate secondo le necessità cliniche del paziente».
Il documento specifica anche che «dovrebbero ricevere una valutazione per il Long Covid – spiega l’Iss – tutti i pazienti in cui l’infezione è stata causa di ospedalizzazione. Tale valutazione dovrebbe essere effettuata a 4-6 settimane dalla dimissione». In coloro che non sono stati ricoverati, particolare attenzione va data ai pazienti con fragilità o cronicità complesse. «I segni o sintomi, presenti sia singolarmente che frequentemente in associazione, da considerare dovrebbero essere quelli a maggiore prevalenza nella sindrome Long Covid (astenia, tosse, dispnea, cefalea, disturbi del sonno, confusione mentale, difficoltà di concentrazione, brain fog, anoressia, anosmia-disosmia, ageusia-disgeusia, mialgie, palpitazioni, dolori articolari, ansia, sintomi depressivi, dolore toracico, faringodinia, rash cutaneo, sintomi gastrointestinali, xerostomia) – si legge nel documento – ma non dovrebbero essere trascurati sintomi più rari o atipici, particolarmente nella popolazione anziana ed in quella pediatrica».
Nel documento viene infatti sottolineato che «dovrebbe essere prestata attenzione ad assenza o riduzione di rendimento nell’ambito lavorativo o scolastico e alla riduzione delle interazioni sociali. Il Long Covid rappresenta una diagnosi di esclusione che può essere posta solo una volta considerate ed escluse le complicazioni legate a patologie di diversa eziologia». Al fine di considerare il punto di vista del paziente, in termini di valori, priorità e preferenze, il processo di sviluppo degli statement ha coinvolto, come membro del panel, un rappresentante dei pazienti. Secondo l’Iss, gli statement prodotti potranno inoltre «ottimizzare la ridistribuzione di risorse sanitario-assistenziali sulla base di principi di priorità delle cure e grazie all’individuazione di soggetti a maggior rischio di eventi avversi».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato