di Carmela De Rango, Segretario Nazionale CIMOP
C’è un qualcosa di distonico alla voce “sanità” in questa manovra all’esame del Parlamento: ovvero il nodo che si stringe su emergenze precise come le esigenze del comparto sanitario e quelle dei lavoratori di quel settore che non sembrano essere state prese sufficientemente in considerazione dal governo.
Certamente è chiaro a tutti che la crisi energetica ha assorbito gran parte delle risorse e delle attenzioni politiche ma, a maggior ragione dopo il biennio terribile legato al Covid, non è saggio sotterrare le criticità messe in risalto durante la pandemia, perché quella montagna di problemi rischia di sgretolarsi in slavine che cadranno violentemente a valle, impattando su pazienti e lavoratori.
“Non disturbare chi vuole fare” è quel passaggio del discorso pronunciato dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Camera lo scorso 25 ottobre che, nelle intezioni, voleva stabilire quasi un nuovo rapporto tra Stato ed economia reale, riprendendo una celebre citazione di Ronald Reagan. Un’intuizione affascinante, utile ad accorciare la filiera tra utente finale e produttore di servizi. Ma poi, osservando nelle pieghe della manovra finanziaria, ci si accorge che proprio queste due categorie risultano essere le più penalizzate.
Nel testo approvato non ci sono i due emendamenti per anticipare al 2023 i 200 milioni in più per il Pronto soccorso e per i finanziamenti al Piano oncologico, originariamente proposti dal ministero della Salute. Le motivazioni per cui è stato bocciato l’emendamento credo siano le stesse che hanno influenzato la decisione finale, che sa molto di spending review.
Appare evidente che, fermo restando le cose, procedimenti improcrastinabili come il rinnovo del contratto per i professionisti della sanità privata si allontanano ulteriormente in considerazione dei costi energetici aggiuntivi che hanno colpito tutte le aziende, ospedali compresi.
Bisogna a questo punto chiedersi con franchezza e onestà intellettuale quali siano i criteri di finanziamento del privato e come mai questi finanziamenti siano stati elargiti per finanziare il contratto del comparto dal precedente governo.
Come si fa a ‘fare’ come dice il premier Meloni senza risorse? O forse sì deve ‘fare’ volontariato con i costi a carico dell’esercente?
Non è questo solo un grido di protesta, pur utilissimo, ma auspico si trasformi in una riflessione che spinga ad un più ampio dibattito sul punto: immaginare di ripristinare determinati budget utili alla copertura dei costi, compresi quelli del personale medico, così come accaduto per il comparto. La considerazione di fondo è che, senza l’immissione di risorse aggiuntive, i medici sono sostanzialmente condannati ad essere discriminati rispetto al comparto, che è stato supportato dal precedente governo, e rispetto ai colleghi che svolgono le stesse attività negli ospedali pubblici la cui retribuzione è del 50% maggiore rispetto al privato.
Una situazione già complessa sulla quale impatta un altro elemento come il mancato riconoscimento dei titoli di carriera sui quali sarebbe necessario legiferare.
Mi auguro che si comprenda come la questione sia davvero di primaria importanza per il paese e non ascrivibile ad una semplice protesta di una singola componente: in gioco c’è il futuro della sanità italiana, che va oltre crisi e governi.
Carmela De Rango, Segretario Nazionale CIMOP
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