Considerata dall’OMS tra le prime dieci cause di disabilità al mondo, questa patologia che colpisce le donne in una percentuale tre volte superiore agli uomini viene trattata con successo grazie ad un anticorpo monoclonale specifico. Grazzi (Besta): «Somministrato sottocute, è sicuro e ben tollerato»
Sono oltre 26 milioni gli italiani che lamentano il mal di testa, un disturbo che l’OMS reputa essere tra le prime dieci cause di disabilità al mondo per diffusione e la prima nella fascia giovane della popolazione con una compromissione nella vita sociale e nelle attività quotidiane. Ad essere maggiormente interessate da questa patologia invalidante sono le donne che risultano avere una percentuale tre volte superiore agli uomini.
Tra le forme più diffuse: la cefalea a grappolo, di tipo tensivo e l’emicrania. Ognuna di queste può avere molteplici fattori scatenanti e per questo individuare la cura giusta spesso è una sfida difficile. «Non c’è una cura migliore per la cefalea, ma giusta a seconda del paziente che abbiamo difronte – spiega Licia Grazzi responsabile del centro cefalee del Besta di Milano -. Negli anni sono sempre stati usati farmaci mutuati per il trattamento di altre malattie, come betabloccanti per l’ipertensione, antidepressivi triciclici o farmaci per l’epilessia, che davano risposte positive anche con la cefalea, ma non specifici per la patologia».
Molti i farmaci utilizzati, ma per tanto tempo l’emicrania è rimasta una perfetta sconosciuta, finché non è stata individuata la CGRP, una sostanza che tende ad aumentare nel sangue in presenza di una cefalea. Gli specialisti hanno pertanto lavorato alla produzione di un farmaco in grado di bloccare l’azione del CGRP, un anticorpo monoclonale che oggi è il vero punto di svolta nella cura delle cefalee. «Questo significa una maggiore aderenza terapeutica e aspettative elevatissime perché per la prima volta abbiamo terapie specifiche per la cura dell’emicrania – prosegue Grazzi -. Gli anticorpi monoclonali inoltre hanno una modalità di applicazione favorevole e non presentano effetti collaterali anche a distanza di cinque anni dall’avvio degli studi».
Le terapie con gli anticorpi monoclonali non vengono somministrate nella fase acuta della malattia, ma come profilassi per ridurre frequenza, intensità e durata degli attacchi. «Questi farmaci possono essere utilizzati in chi ha forme considerate episodiche (dai 4 ai 14 giorni al mese), ma anche in chi ha forme croniche dove è presente anche un uso eccessivo o un’assuefazione agli analgesici – sottolinea la responsabile del centro cefalee del Besta -. Ottimi risultati si sono avuti anche negli anziani (oltre 65 anni), mentre per bambini e adolescenti non ci sono ancora evidenze scientifiche tali da consigliarne l’utilizzo, anche se in molti centri specialistici, sono in corso studi per il trattamento di pazienti emicranici episodici e cronici in età pediatrica e adolescenziale con dati incoraggianti».
Il punto di forza degli anticorpi monoclonali per il trattamento delle cefalee sta nella loro efficacia a rapida azione e negli alti livelli di sicurezza e tollerabilità. «È molto importante che la diagnosi sia fatta in maniera corretta – fa notare Licia Grazzi -, e che i criteri imposti da AIFA vadano rispettati, perché se a monte la diagnosi non è fatta in modo corretto, possono non dare i risultati sperati».
Un ciclo di terapia a base di anticorpi monoclonali dura un anno, a seguire è necessaria una sosta di almeno un mese per poi essere rinnovata, ma ad oggi questi farmaci sono mutuabili solo per pazienti con determinate caratteristiche. «La diagnosi deve essere fatta tenendo conto dei criteri di classificazione internazionale, inoltre il paziente deve avere un valore di disabilità pari o superiore a 11 secondo un questionario specifico, e deve aver fallito o non tollerato almeno tre terapie di profilassi previste da Aifa a base di antidepressivi triciclici, betabloccanti e antiepilettici e, nel caso di emicrania cronica, anche la tossina botulinica» conclude.
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