In Italia sono 22 le persone che hanno ricevuto una diagnosi di ADNP: il paziente più piccolo ha 2 anni, il più grande 27. Nel mondo i casi noti sono circa 450. Il presidente dell’Associazione Italiana sindrome ADNP: «È stata l’estrema rarità di questa patologia a spingerci a fondare l’associazione. Puntiamo alla creazione di un comitato scientifico per sostenere la ricerca scientifica, promuovere cure specialistiche, supportare le famiglie e migliorare la qualità di vita dei nostri bambini»
Si chiama Camilla ed ha sette anni. Molti, di recente, avranno visto il suo volto in tv e sulle pagine dei giornali durante l’ultima Maratona di Fondazione Telethon, di cui è stata testimonial. Camilla è affetta da una patologia genetica rara, la sindrome del gene ADNP (nota come sindrome di Helsmoortel-Van der AA), che comporta, nella maggior parte dei casi, autismo, ritardo cognitivo e dello sviluppo motorio e verbale.
La famiglia di Camilla ha ricevuto la diagnosi, a sette anni dalla sua nascita, proprio grazie al programma malattie rare di Telethon. La mamma, Roberta, ha notato che qualcosa non andava fin dai primi mesi di vita, ma nessun medico, fino al 16 aprile del 2021 (giorno in cui l’equipe del programma malattie rare di Telethon ha pronunciato la diagnosi) era riuscito a dare un nome alla patologia della sua bambina.
«Finora, in Italia, sono 22 le persone che hanno ricevuto una diagnosi di ADNP. Il paziente più piccolo ha 2 anni, il più grande ne ha 27. Nel mondo i casi noti sono circa 450 – racconta Andrea Valentini, presidente dell’Associazione Italiana sindrome ADNP -. È stata proprio l’estrema rarità di questa patologia a spingere me ed altri genitori di figli affetti dalla medesima sindrome a fondare l’associazione». La mancanza di centri di rifermento specializzati nel trattamento di questa sindrome è testimoniata anche dal fatto che le famiglie italiane che hanno dato vita all’associazione di pazienti, 12 in tutto, si sono incontrate solo grazie all’ADPNKIDS, l’associazione americana di riferimento, a cui si erano rivolti in cerca di aiuto. «Un contatto instaurato grazie ai social network, impensabile anche solo una decina di anni fa – continua Andrea Valentini -. Ma, seppure la scoperta che dall’altra parte del mondo c’è qualcuno che si trova nelle medesime condizioni possa rappresentare un ottimo sostegno dal punto di vista psicologico, poco cambia nella vita di tutti giorni, costellata di ostacoli e difficoltà».
Il primo problema da affrontare è la diagnosi che, spesso, come dimostra la storia di Camilla, arriva a molti anni dalla nascita ed è oggi possibile solo grazie alle recenti tecniche di sequenziamento del genoma. Poi, la presa in carico del bambino da parte di medici e professionisti sanitari adeguatamente formati sulla sindrome ADNP. «In Italia – spiega il presidente Valentini – non esiste un centro specializzato e uno dei nostri principali obiettivi è crearne almeno uno che possa essere di riferimento per noi e per i nostri figli. Per questo, stiamo concentrando tutte le nostre energie verso la creazione di un comitato scientifico che raccolga i massimi esperti italiani su questa sindrome. Il centro specialistico di riferimento che tutti noi sogniamo è un centro in cui sia garantita una presa in carico globale dell’intero nucleo familiare, non solo dei piccoli pazienti, ma anche dei genitori e dei fratelli e delle sorelle».
Andrea Valentini è il papà di Linda, una bambina di nove anni, non verbale, autistica, con problemi comportamentali. «Ho anche un’altra figlia più grande – racconta il presidente dell’Associazione Italiana sindrome ADNP – e vorrei che anche lei, cresciuta nell’ombra della malattia di sua sorella, possa ricevere l’adeguato sostegno. Ancora, vorremmo che questo centro specialistico possa guardare al futuro, puntando molte delle sue risorse sulla ricerca. Ad oggi, stando a quanto descritto in letteratura scientifica, nessuno è in grado di dirci qual è la vita che avranno i nostri figli. La nostra missione, quindi, è far conoscere la sindrome ADNP, finanziare la ricerca per i trattamenti e lo sviluppo di farmaci, promuovere cure specialistiche e protocolli individualizzati, supportare le famiglie e fornire informazioni per aiutare tutte le persone con ADNP – conclude Valentini – a realizzare il loro pieno potenziale ed avere, così, una migliore qualità della vita».
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