Una breve digressione sulla responsabilità del professionista e la redazione dei certificati medici. Cosa si rischia, civilmente e penalmente
Tutti quanti hanno avuto a che fare, prima o poi, con la certificazione medica. Di certificati medici ve ne sono infatti parecchi. Si va dal certificato medico sportivo – il vecchio certificato di sana e robusta costituzione – al certificato di malattia, a quello di vaccinazione, di morte, ecc.
Il Codice di deontologia medica, all’Art.24, dedicato espressamente alla certificazione, riporta quanto segue: Il medico è tenuto a rilasciare alla persona assistita certificazioni relative allo stato di salute che attestino in modo puntuale e diligente i dati anamnestici raccolti e/o i rilievi clinici direttamente constatati od oggettivamente documentati.
Di seguito cercheremo di sviscerare – nei limiti di un articolo digitale – la relazione tra certificati medici e responsabilità professionale. Cosa può rischiare il professionista certificando qualcosa al paziente in modo errato?
Come si evince dall’articolo del Codice citato, certificare sullo stato di salute del paziente è un obbligo per il professionista. Ovviamente, il tutto deve avvenire nei limiti delle competenze specifiche del certificatore.
Ad esempio, il medico di base è tenuto a certificare la malattia di un proprio assistito, al fine di giustificare l’assenza di questi dal proprio luogo di lavoro. Lo stesso medico di base non potrà però certificare, se non ne ha le competenze specifiche, che un proprio paziente soffre di una particolare patologia tumorale. Una certificazione di tal tipo dovrà essere rilasciata da un medico specialista, e non da un semplice generico.
Inoltre, l’obbligo di rilasciare una certificazione non toglie la possibilità al professionista – in casi particolari – di rifiutarsi di farlo: se non vi sono riscontri evidenti ed oggettivi per sostenere che il paziente è allergico alle graminacee, ad esempio per mezzo di test allergologici positivi, il certificato non può essere rilasciato.
Risulta abbastanza chiaro come un medico il quale dovesse attestare, ad esempio in un certificato medico sportivo, che il proprio paziente è – come si dice – “di sana e robusta costituzione”, senza aver effettuato i necessari controlli di rito, può rischiare parecchio. Egli può infatti incorrere nel reato di falso ideologico.
In particolare, dobbiamo distinguere il professionista privato, che certifica lo stato di salute di un paziente – come nell’esempio precedente – dal professionista del SSN, la cui certificazione ha sostanzialmente valore di atto pubblico.
A disciplinare il reato di un professionista privato che omette – o manipola – la verità sullo stato di salute di un paziente, è l’Art.481 del Codice Penale. In esso si afferma che chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria, attesti falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 51 a euro 516. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.
Diverso è il caso in cui sia il medico curante, o uno specialista del Servizio Sanitario Nazionale, a commettere il falso ideologico. In tal caso, a determinare la pena è un insieme di articoli del Codice, che vanno dall’Art.476 all’Art.484, a seconda di come viene inquadrato dalla legge il medico nell’atto di certificare (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio). La pena, in tal caso, può arrivare sino a due anni di reclusione.
Per difendersi da tali rischi non c’è copertura di responsabilità civile professionale che tenga. L’unica possibile difesa è un contratto assicurativo di tutela legale, che copra il professionista sobbarcandosi le spese legali e peritali. Per avere la copertura adeguata, è consigliabile sottoporsi ad un check up consulenziale, come quelli svolti di prassi dall’equipe di SanitAssicura.
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